È una grande famiglia allargata. Una sippe, un ateneo, una casa di assistenza McDonald’s, un monastero con villaggio attorno.
Serge è la Mamma, il fondatore, il capo, Ronald McDonald, l’abate.
Non ci puoi fare niente, lo rispetti.
Perché ti dà il lavoro, perché ti protegge, perché ti minaccia apertamente, perché sa, perché può, perché è Serge ed è quasi un sostantivo.
Priscille è tra le più vecchie, agli sgoccioli della sua carriera, pronta ad andare in pensione nel suo corpo vista mondo; due tette, fianchi stretti, una testa con riccioli rococò, accogliente alla profondità giusta. Si è guadagnata il titolo di giullare di corte con gli strass e l’anzianità, e può permettersi di alzare la sottana del capo e ridere delle sue regole.
Anja è la certezza, la somma lavoratrice, quella su cui puoi dare ogni garanzia. Ce l’ha nel sangue questa operosità. Si prende i turni degli altri ed è ligia al dovere, solo che i calli non li ha sulle mani.
Thérèse perde la testa ogni tre mesi per un nuovo principe azzurro (a volte è una principessa, ma perlopiù Victor Victoria). Sa che la sua malattia si chiama insicurezza e idealismo infantile, e prima o poi dovrà guarire, ma per lei la medicina sta nell’amore e siamo punto e a capo.
Che puoi dirle? Non è di una puttana che ti devi innamorare? E neanche di un cliente? Non rimane poi molto del vasto mondo…
Conrad è Vogue Uomo + CG + Men’s Health + Dianetics + MacroBio. Più l’ultima rivista che sarà di moda. Conrad è il logo, il manichino protagonista della vetrina. Tutto il resto è forma e superficialità…
Mon è la principessina. Quella con i fiori nei capelli e la compatta convinzione di essere La. Lei. Barbie. Cleopatra. Marilyn Monroe. Quella che paga i paggetti per non toglierle il palcoscenico.
Jo è il baluardo dell’ultima spiaggia su cui potresti finire. Ti rinfranca vedere che c’è chi sta peggio di te, e certamente il bel tenebroso avrà qualcosa da nascondere in tutta quell’ombra…
È il bambino abbandonato che vuoi consolare e ti ringrazierà con cinismo. Ho subito cose che…
Adesso Mon ne sta imparando la vena esistenzialista, gli occhi spenti, prenderlo come bersi un caffè, la voce rauca e i capelli disordinati.
Come le insegna Jo tutti questi colori mi sembrano merda di cartoni animati e lascia perdere tutte queste cazzate, tanto vuoi solo farti sbattere per illuderti di avere una qualche utilità.
Mon lo osserva e invidia tutto ciò che ha sempre trovato squallido e inutilmente masochista. Si impegna, seriamente, per prenderlo in culo e capire come si fa a godere con un palo che ti trapana le vertebre.
Me lo chiede in silenzio contrita:
-Vai più forte, prova.-
Su e giù e io le dico:
-Ti fa male perché sei contratta. Perché non ti piace, e tu non hai tutta questa necessità di fare soldi. Perché lo fai?-
-Stai zitto e vai!-
Non vede l’ora di piombare nel letto di Serge e dimostrargli che sa prenderlo in culo in maniera esemplare, tutto questo perché una notte Serge era di cattivo umore, ed è entrato nella Suite dicendo:
-Uno di voi tre di là a farsi sbattere.-
Thérèse ha scosso la testa timorata, Mon ha tentennato e Jo è andato strascicante verso la porta della camera, eroe dei destini ineluttabili. Perché quando Serge è di cattivo umore è un sadico distaccato cinico che vuole saggiarti da tutti i buchi e le angolazioni.
E mentre Jo arrancava tranquillo verso le fauci del mostro, Mon lo invidiava profondamente.
Invidiare profondamente chi si fa sfondare per capire se nascosto in qualche angolo del proprio culo c’è ancora qualcosa di interessante.
Le ho fatto vedere una puntata del National Geographic sull’istinto di sopravvivenza dei leoni e lei mi ha risposto con un documentario di Discovery Channel sull’importanza delle leonesse che nel branco fornicano di più.
-Non lo prendono in culo.- ho detto.
-Neanche i leoni maschi. Gli uomini sì.-
-Perché non hanno una vagina.-
-Ma io ho l’ano e c’è la parità dei sessi.-


Moony stanotte ha dormito con me nel lettone della mamma, tremando un po’.
Le serviva un po’ di tempo, come ha detto Mat, e serviva anche a me.
-Oggi ho fatto l’ultima verifica.- mi ha detto. Mi dava la schiena e il profilo del suo volto era tinteggiato di luna. –Domani posso stare a casa?-
Ho mugugnato un .
-Tu sei a casa, domani?-
-Che giorno è, domani?-
-Venerdì.-
-… Sì. Devo andare via dopocena.-
Non dico quasi mai “vado al lavoro” o “comincio a lavorare” o “il lavoro comincia”.
Licenze poetiche.
-Oggi ero in giro con Amélie, e ci ha fermato un signore…-
Volta il viso verso il soffitto e mi guarda di traverso.
-Secondo te sono bella?-
-Perché?-
-Che risposta è: “Perché?”? Dimmi se sono bella!-
-Uff… Sì, sei bella.-
-Seriamente.-
-Seriamente sei bella. Ma dovresti disfarti quella treccina aggrovigliata lì davanti.-
-Ci volevo fare un rasta.-
-Sciogliti quella cazzo di treccina. A che ti serve un rasta?-
-Lo so io. E poi è bella. Comunque mi ha fermato un signore e mi ha dato il biglietto da visita di un’agenzia.-
-Di cosa?-
-Di modelle, Ed. Non sei per niente soddisfacente! Se ti chiedo…-
-Alt! Un’agenzia di modelle? Vuoi fare la modella?-
Via la mia sorellina dai palchi illuminati e dagli studi con fari accecanti.
Mon è stata una modella, Conrad è un modello.
Pregiudizio e generalizzazione, sì.
Ma Moony su un palco no.
-Non lo so… Ma ho l’estate libera e tiro su un po’ di soldi…-
Secondo me non le va. Non Moony – Odio le fighette la vanità è una cosa stupida.
-Non hai bisogno di fare soldi, li faccio io.-
-Voglio dare una mano.-
-Ma non serve.-
-Ed! Voglio dare una mano anch’io!-
Conseguenze negative di aver detto a tua sorella premurosa che fai un lavoro che fa e ti fa schifo.
-Fai la cameriera. Vendi volantini.-
Sbuffo moonyano.
-Guadagni pochissimo. E poi non lo so ancora. Non so neanche cosa significhi fare la modella, dovrei vedere…-
-…-
-Voglio soltanto andare a vedere.-


La signora Duchaufour non riesce a non guardare il mio collo tumefatto.
Succhiotto, signora, si chiama succhiotto. Non c’è neanche bisogno di spogliarsi per farsene fare uno.
-Latte?- mi chiede.
Latte, con i biscotti?
-No, grazie mille.-
Sgranocchio una mollica abbrustolita che sa di noci e zucchero, presa da un sacchettino di cotone rosa. Mucchio formato famiglia di biscottini ipercalorici.
-Non c’è bisogno che lei ci pulisca casa, veramente…-
Quando mai Yveline ha dato le chiavi di casa a questa donna?
-Su, Edward, non fare complimenti. A me certo non pesa mezz’ora in più o mezz’ora in meno, e so che adesso sei sempre fuori per lavoro e commissioni…-
Non lo fa apposta, ma: è veramente così vistoso questo succhiotto? Ok, il collo mi fa un po’ male, ma mio dio è solo un pezzo di pelle risucchiata.
-Signora, veramente. Non ce n’è alcun bisogno… Già ci fa gran favore a prepararci queste… merende.-
Mi esce un risolino muto. Ho ancora la sua torta in frigo e dei biscotti muffiti al limone nella credenza. Devo buttarli, ormai non li mangia neanche Mat.
-Beh, se però avete bisogno di qualche cosa mi raccomando chiedete. Sempre meglio chiedere a persone fidate, che sono qui per darvi una mano.-
Ecco dove voleva arrivare.
Mi spiace, signora Duchaufour, ma ho mandato questa mattina un assegno di 4000 euro al Fondo Bancario di Tolosa. Altri 3500 e con Tolosa ho chiuso, mai più nemici in quella città.
Poi rimane la Banca Nazionale di Le Havre, quella Regionale di Limoges, il Fondo Bancario del Commercio a Caen, la Società di Finanziamento Personale in 24 ore e il Fondo Azionistico Consociato (a cosa?) ad Avignone, la sede parigina della Union Assicurazioni, le azioni indebitate a Besançon, etc etc…
Come si dice, un po’ alla volta
Moony mi ha fatto una domanda intelligente:
“Non possiamo andare da un avvocato?”
Sì, potremmo. Aspettare mesi sperando di vincere una causa, e io intanto dovrei lasciare il lavoro e trovarmene uno più legale e meno pagato, utile a malapena a darci da mangiare. Oppure potrei rivolgermi a Serge intercedendo per il suo avvocato personale, come la direttiva che ci ha dato dice: “Se serve un avvocato per qualsiasi cosa chiedete a me.”. Ma non credo sia disposto ad aiutarmi a smettere di lavorare per lui…
Niente avvocato.
-Ti sei fatto male, lì?-
Finalmente! E non mi sono neanche preparato una scusa.
-Sì… e…-
Si avvicina a esaminare.
Succhiotto! S – u – c – c – h – i – o – t – t – o !
-Credo sia un’allergia. Prude e fa un po’ male.-
Si allontana sospettosa.
-Dovresti passare dal dottore.-
Sì, me l’ha detto anche Serge. La visita mensile è venerdì prossimo alle 10:00 per le analisi del sangue.
-In effetti è strano… Pensavo fosse la catenina, ma così, solo su una parte…-


Si chiama Tournassat Armand parte terza…
Non me ne ero neanche accorto.
Io davanti al suo specchio decorato a soffio, gigli opachi che s’inerpicano sui lati.
-Mi hai lasciato un bel segno.-
-Ah sì?-
E io non me ne sono neanche accorto.
-Serge mi ucciderà.-
Il suo riflesso in vestaglia seta 100% natural blu, chino a guardarmi il cerchio rosso con spruzzi vermiglio.
-Gli porgerò le mie scuse dicendogli che è colpa mia.-
Il cliente non ha mai colpe, e Serge mi ucciderà. Solo le battone da strada hanno segni simili addosso, chi dà 50 euro a botta certo non può lamentarsi del segno dei clienti passati. Se è una battona è una battona, succhiotto o livido in più.
Qui stiamo parlando di merce pregiata, non di un negozietto di articoli di seconda mano, già sento la sua voce contraddetta.
All’atrio Armand mi ha messo quattro pezzi da 500 in mano.
Non potevo prenderli.
-Prendili.-
Non posso prenderli.
-Prendili. È il risarcimento per le prossime serate. E sul biglietto ci sono le scuse per Serge.-
Per un paio di giorni sono in vacanza.
Ero tentato di chiedergli un risarcimento meno materiale.
Bozza: ti dice niente il nome di Yveline Trastet?

Nella Suite ho messo i quattro pezzi da 500 in mano a Serge.
-Beh?- mi ha guardato alzando un sopracciglio. Alla vista del succhiotto il sopracciglio ha sfiorato l’attaccatura dei capelli che non gli ho mai visto. Neanche un bambino è così liscio…
Gli ho dato il biglietto con le scuse, e mentre leggeva:
-Il biglietto è per te. I soldi sono per me, un terzo tuo. Tienili tutti, ma voglio sapere alcune cose.-
La Suite era vuota. Il portatile ronzava sul tavolino di vetro da salotto, la piega del culo di Serge sui divanetti in pelle verde.
-Voglio solo il mio terzo. Tienili.-
Quante altre volte qualcuno mi avrebbe detto: “Tienili.”?
-No, tienili tu. Voglio…-
-Tienili. Poi ne parliamo.-
Irremovibile come Yveline, nella sua vestaglia di raso bianco, mi ha dato i quattro pezzi da 500 e si è seduto davanti al portatile.
-Prendi un po’ di ron.-
Le due monodose da frigobar, bottigliette da collezione e flute congelati. Ci sono anche rocks e ghiaccio, per il suo on the rocks.
-Cosa vuoi sapere?-
Nei momenti più importanti Serge digita documenti di testo che nessuno osa spiare, righe nere che si riflettono sui suoi bulbi oculari.
-Tournassat. Mi ha cercato lui?-
-Cosa intendi?-
-Quella sera… Hai detto che era tutta la sera che mi aspettava. Si è posto davanti a me quella sera o ha chiesto di me prima?-
Serge sorride. La sua pelle sottile si solidifica in una ruga attorno alla bocca.
-Quella sera.-
Quindi…
Quindi nulla.
Via da me congetture legate al mio cognome. Non mi conosceva. È solo un banale caso sopravvalutato.
-Te lo sei fatto amante?-
Vuole dire: la tua espressione delusa è dovuta a un crollo di aspettative sentimentali?
-No.-
Felice e grato di non ricadere nella sindrome di Thérèse. Mi hanno minacciato in tutti i modi al riguardo. “Attento a non legarti ai clienti gentili”, “Non credere che una cliente affettuosa sia disposta a prenderti con sé ufficialmente”, “Qualche moina non significa un permesso di soggiorno nel mondo dei ricconi”.
No, veramente, non ho questa sindrome.
-Però c’è un’altra cosa…-
La ruga solidificata è ancora lì.
-Quale cosa?-
-È solo una supposizione probabilmente fallimentare.-
-Quale cosa?-
Il suo indice destro si stacca dalla tastiera e lentamente scende a indicare il tavolino, il pavimento, il bordo di pelle verde del divano, le onde di raso sul suo pube.
-Comincia a lavorartelo.-


È bello poter mangiare sashimi di uno dei più pregiati ristoranti della città e bere 100% natural succo di mele spremute con dovizia nell’agriturismo fuori città, distesi sul divano con un vecchio telefilm di sottofondo.
È bello soprattutto che Moony non si renda conto di tutto questo, mangiando le uova di lompo come fossero fish&chips e bevendo il costoso lavoro degli agricoltori solo per sciacquarsi la gola.
È come accendersi una sigaretta con un pezzo da cento, ma senza dirlo a nessuno.
È la vanità della vanità della vanità.
Oggi, per farla felice, l’ho accompagnata al mercato, la sua grassoccia amica Jeannette al seguito che continuava persistentemente a fissarmi il collo.
Mi spiace, ma le magliette a collo alto non hanno il collo così alto, a giugno.
Tre ore a cercare pennino e inchiostro per il nuovo diario di Jeannette, pantofole a forma di coniglio per Moony, un regalo per il compleanno di Anad, una particolare edizione per una particolare biografia di Hugo per un loro nuovo amico conosciuto in biblioteca.
-Non è meglio andare in libreria?- ho chiesto io dopo un’ora e quarantacinque minuti.
-No. Costa un sacco di soldi e gli ho detto che sarei passata al mercato, e se la vedevo gliela prendevo.-
Se la vedevo? Chiedere a tutte le bancarelle se per caso ne hanno una copia?
-Non importa se costa…-
-No!-
E Jeannette con i suoi occhioni color nocciola sbiadita mi fissava il collo chiedendosi chi fosse stato.
Non la voglio in casa nostra questa notte. Non un sabato in cui non lavoro. Voglio dormire sdolcinatamente fraterno con Moony nel mio nido caldo, senza formalità per gli estranei, svegliarmi domenica mattina e andare in mutande a bere succo di mela 100% natural dal frigorifero.
19:35.
Jeannette arriva alle 20:00.
Moony ingoia un molle pezzo di pesce spada e si guarda le ciabatte imbottite a forma di coniglio che le soffocano i piedi.
-Mi fai vedere il collo?- mi chiede, e indica verso la parte di me che oggi tutti vogliono guardare.
Senza aspettare risposta è su di me, analisi critica del mio ematoma.
-Chi è stato?-
-Un cliente.-
Non potevo formulare semplicità più odiosa.
-Chi?-
-Un cliente. Cosa cambia?-
-Non te ne sei accorto?-
-No.-
La fermo prima che possa attaccarsi al mio collo come una sanguisuga. Se oggi Jeannette mi guardava imbarazzata è perché avrà pensato: Non sono cresciuti abbastanza per smetterla con certe cose?
-No! Cazzo, no!-
Mi guarda indispettita – Non mi sono ancora arresa, dammi un buon motivo.
-Non posso farmi fare altri succhiotti. Per colpa di questo rimango a casa tre giorni.-
-Chi è stato?-
-…-
-Un uomo o una donna?-
-…-
-…-
-Un uomo.-
-Quanti anni ha?-
-Una quarantina.-
Quarant’otto.
-È un bell’uomo?-
-No.-
-È affascinante?-
-No.-
Sì.
-Ci vai spesso?-
-Moony…-
-Se ti faccio un braccialetto lo porti sempre?-




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