Quindi…
Tournassat a inizio serata si è avvicinato a Serge, e gli ha chiesto:
-Qual è il suo nome?-
-Edward.- ha risposto Serge, e negli occhi di Tournassat si è accesa una scintilla. Mi ha guardato per un secondo aggiuntivo e ha detto a Serge:
-Prenotalo per stasera.-
Serge ha concluso che la mia fama si sta propagando, e se ne è gingillato.
Io no, perché so chi è Tournassat.
E perché ora so che, a quanto pare, anche lui sa chi sono io.
-Cosa c’è dietro?-
Il tono di Serge è tendente al serio – Mi devo preoccupare per qualcosa?
-È un nome che avevo già sentito.-
-Questo l’avevi già detto.-
Mi sento come alla scena muta all’interrogazione di storia. Stessa identica ansia da sudore alle mani; se non fosse che alle interrogazioni è ingiustificata, ora no.
-È una faccenda personale.-
Come dire: Ho avuto problemi a casa e non ho potuto studiare.
-Non esistono faccende personali con i clienti.-
-Non sono io a scegliere i clienti, sono loro a scegliere me. Tournassat si comporta in modo strano.-
-Non è un problema…- Le sue mani si aprono chiarificanti. –Possiamo terminare i tuoi incontri con Tournassat da… Ora.-
Sorriso allargato del cazzo. Come se tutto si potesse sempre risolvere con soldi o minacce…
-Non ce n’è bisogno. È soddisfatto di me, e paga bene.-
-Troppo bene…-
Le mani tornano a chiudersi una sull’altra.
-Non fare cazzate.-
Penso equivalga alla sua buonanotte.
Due colpi alla porta. Due colpi pesanti, dolorosi, e la porta si apre prima che Serge dica “avanti” mostrando un arrancante strafatto Jo con un perfetto tempismo cinematografico.
Come l’ultima apparizione di uno spettacolo teatrale, Jo procede a incerti passi verso il letto, dove io sono seduto, e si lascia cadere come un soldato ferito nella neve, stumf, sotto lo sguardo impietoso di Serge.
alcool, direi, più forse una riga di coca mal digerita, ma prioritariamente alcool.
Ridacchia sottovoce.
-Avevi clienti, questa sera?- domanda Serge nella massima più massima compostezza. Non si aspetta di ricevere una risposta, vero?
-No…- suono biascicato dall’oltretomba. –Finito dopo cena.-
Beh, è quasi mezzanotte. Tutto il tempo di salutare il cliente e ridursi così.
-Sistemalo.- La buonanotte di Serge a Jo, poi esce, e io mi trovo un cadavere etilico che farà di tutto per convincermi che sta bene, è solo un po’ assonnato, credendo anche di risultare convincente.
Quando sento la porta d’entrata chiudersi comincio la lavanda gastrica.


Person Presenting Itself as Commodity Allotment in a Business Doctrine.
È una sceneggiatura teatrale dall’autore ignoto.
Come recita il diario di Yveline in data 22 febbraio 1989:
“Flashback del mattino. Person Presenting Itself As Commodity Allotment In A Business Doctrine. Sceneggiatura mai portata sul palco, quattro anni fa. Come potevo essermene dimenticata?”
Inutile dire che di questa sceneggiatura non c’è traccia in tutta la casa, e non ho un altro abito nuziale da scucire.
Mat, il mio Watson, ha detto:
-Ceppo.-
E io:
-Cos’è un ceppo?-
E lui:
-Il cuore d’oro.-
-Un ceppo?-
-Si chiama così. Un oggetto a cui sei molto legato e che sacrifichi per fare un rituale.-
Annuisce saccente come solo il suo sangue nerd può permettergli.
-E le scritte col sangue?-
-Questo non lo so. Teoricamente il ceppo devi metterlo nella cera.-
-Ma non è nella cera.-
-Beh, ma ci sono tante tradizioni differenti…-
E per la sua tendenza ad archiviare e catalogare ogni argomento a cui si accosta, mi ha acculturato sulla magia pratica europea medievale, rinascimentale, sulla dottrina di Avicenna, quella di Salomone, il paganesimo celtico e il culto dei morti variago, i sacrifici delle baccanti e le regole delle Wiccan.
Concludendo che: per l’occultismo e la magia naturale di Agrippa il Cuore di Gesù Cristo servirebbe a evocare gli spiriti dei morti sopra scritti, ma mancherebbe il patronimico, e d’altro canto Moony non è morta, e neanche Tournassat.
Allora forse per una scuola non ufficiale potrebbe essere una maledizione, un incantesimo di morte per i nomi segnati, ma d’altro canto il fatto che la frase sia stata scritta in modo che formi una specie di recinto farebbe supporre che si tratti di un incantesimo di protezione, oppure un vincolo per intrappolare il demone o lo spirito nel caso si tratti di un incantesimo di evocazione, o ancora un incantesimo di invocazione utilizzato per unire le persone durante un rito. Forse bisognerebbe anagrammare le lettere e ricercare uno dei nomi citati nello Pseudomonarchia Daemonum, peccato sia introvabile.
E io:
-Mat, ti ricordi che stiamo parlando di mia madre?-
Ma l’accostamento alla simbologia cristiana con il sangue simbolico ricorderebbe forse una pratica derivata dalla Santeria, ma bisognerebbe sapere se il sangue è sangue umano o sangue animale, e di che animale, e quando è stato sgozzato, e l’ulteriore accostamento con una frase inglese così criptica potrebbe ricondurre alla dottrina di Crowley, se non addirittura a un feticcio orgiastico utilizzato per riunire con Kether le anime dei partecipanti…
-Mat! Cazzo, stiamo parlando di mia madre!-


Non ho mai visto uno stomaco recitare bene come quello di Jo.
Dove nasconda tutti i liquidi che sta vomitando è un mistero che solo lui conosce, e probabilmente il segreto per cui non è ancora steso in una bara.
-Mi spiace, Ed…-
E il suo stomaco si contrae di nuovo proiettando nel lavandino il liquame trasparente.
-Mi spiace…-
Devo pulirgli la bocca dalla saliva per farlo parlare, e il fatto che non si sia ancora accorto che Thérèse è sulla porta del bagno mi fa quantificare che ci vorranno altri tre moti addominali per riequilibrare l’alcool con il sangue.
Odio guardare il suo stomaco contrarsi e la pelle tirarsi lungo le costole.
A volte, soprattutto quando guardandolo mi rendo conto che si può essere bambini anche a diciotto anni, mi dico che non è colpa sua.
Non è lui che si rende così, non è lui che vuole farsi del male. Per qualche motivo dell’alcool scivola nel suo corpo, si mescola al suo sangue, e l’ebbrezza fa ingoiare qualche acido, e il trip ti fa tirare qualche riga di coca.
Non è una sua scelta.
Thérèse lo guarda con l’espressione più dispiaciuta delle sue espressioni dispiaciute, trattenendo per gentilezza conati di vomito ed evidenti moti di disgusto. Ha anche provato ad avvicinarsi, ma l’ennesimo violento inarcarsi della schiena di Jo le ha leso i nervi già tesi e lei ha fatto un balzo indietro.
Le piante sono acqua compressa. Jo è acqua compressa e si sta afflosciando come un gambo reciso.
-Scusami, Ed…-
Ti scuso, ti scuso.
Fammi solo un favore.
Se mai dovessi trovarmi nella tua situazione non aiutarmi. Lasciami disteso sul pavimento del cesso annaspante nel mio vomito.

-È per questo che me ne sono andato di casa, capisci? Io avrei voluto rimanere, ma non potevo, perché io ero io, quell’io che cazzo questa cosa della vita non la sa fare.-
Non so se sta parlando a me o a Thérèse o a entrambi. Magari ha appena coniato il contrario del plurale majestatis, una formula con cui ridurre tutta l’umanità a un misero: “Tu”.
-Capisci che se io ero diverso era tutto più semplice, capisci? Ma io lo sento cazzo quel che vuole la gente quando si preoccupa per te, quando decide di volerti bene. È una fregatura, una gabbia a cui non puoi ribellarti.-
Mamma Thérèse, Papà Edward, e in mezzo al letto Jo che cerca contatto umano forsennatamente. Mi tocca una gamba, la stringe, cerca il ginocchio, incastra il gomito tra i seni di Thérèse, struscia il suo zigomo sul dorso della mia mano e sul collo di Thérèse.
-Mia nonna non me l’ha lasciato il tempo di decidere. Non è che un giorno mi ha fatto sedere e mi ha detto: “Ok, Joseph, sei grande, ora devi decidere se vuoi il mio affetto.”. No, non lo chiedi, ed è una bastardata. Chi cazzo te l’ha chiesto?-
Odio conoscere queste cose, sentire queste giustificazioni, percepire l’intelligenza celata di Jo e il non poter dire semplicemente: “Fa le cose per puro caso, non c’è senso e tu non devi cercarlo.”
No. Carne e sangue quanto te.
-Non lo decidi l’affetto che ricevi, fanno tutto gli altri. In fottuto diritto di sentirsi male se stai male, di giudicare le tue cazzate e preoccuparsi. No, vaffanculo, voglio fare quel che mi va.-
Sembra uno dei Loa di cui mi parlava Mat. Uno dei Loa che cavalca Jo e parla monocorde come se avesse la scienza infusa, e le sue parole risultano magicamente convincenti.
Più o meno come un’arma puntata addosso.
Non ho detto giuste, ho detto convincenti.
-Tu che cazzo ne sai di qual è il bene per me? E quando decidi che vuoi voler bene a una persona perché ti dai il diritto di dirglielo? Perché ti dai il diritto di farmi sapere che potresti star bene o star male per me? Questo fa veramente male, e non lo voglio, non l’ho chiesto come non ho chiesto la vita ma cazzo la vita posso togliermela, questo no.
È per questo che la gente si fa del male. Ti droghi, ti bruci le narici, e puoi dirti finalmente: “Sì! Ecco! Mi sto facendo del male e non mi renderò conto di quello che la gente penserà!”. Ti tartassi fino al midollo, e puoi dire in faccia a quelli che si preoccupano che stai bene, stai bene e stai bene e se ti vogliono veramente bene che abbiano il coraggio di farsene anche loro di male, di vivere senza la continua tartassante speranza di stare meglio meglio meglio.
Io NON VOGLIO ringraziare qualcuno perché mi fa stare bene. Non voglio ringraziare nessuno. È quella la minaccia, sentirti dire che se farai questo starai male. Che se metterai la mano sul fuoco brucerà, che se farai la cosa sbagliata allora pagherai. Non lo vuole nessuno, il libero arbitrio, nessuno vuole sentirsi dire che se vuole ha tutta la libertà di mettere quella mano sul fuoco e soffrire, soffrire, starsene in silenzio col proprio dolore senza dover ringraziare nessuno…-




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