-Senti, ma perché non portiamo giù un po’ di roba…?-
La lampadina penzolante illumina il volto di Mat, chino, rassegnato, rendendolo ancor più smilzo e scavato. Questa volta ha in grembo una serie di quaderni di piccolo formato dalle copertine patinate di orsetti e transformers, i miei quaderni delle elementari.
Per la cronaca, odiavo avere degli orsetti sui quaderni di scuola.
-Non voglio che Moony sappia che sto rovistando in soffitta.- rispondo io, ed estraggo da un vecchio cassettone una pila di fogli, che rovinano sul pavimento spesso di polvere.
Bestemmia.
-Comunque stavolta cerco una cosa precisa…-
-Ah sì? Cosa?-
I fogli sono bilanci annuali. Roba da commercialista. Mi ricordano che devo telefonare a una certa Emmanuelle Dingremont, segnata sulla rubrica con il suffisso comm.
E farmi spiegare cos’è esattamente un commercialista.
-Una specie di diario di mia madre… Non proprio un diario, ci scriveva annotazioni quando io ero piccolo. Diceva di scriverci “consigli”…-
-Ah…-
Ad esempio:
Mamma, come faccio a portare Moony nelle discoteche in cui lavoro come animatore se non lavoro come animatore nelle discoteche?
-Ah…- ripete Mat, e appoggia i quaderni sulla vecchia lavatrice. Ha una pennellata di polvere sullo zigomo sporgente. –Moony mi ha chiesto se sono mai stato dove lavori…-
-Immaginavo.-
-E le ho detto di no.-
-Bene. Devo offrirti qualcosa da bere per l’aiuto.-
-No, non è questo il fatto…-
Si porta una ciocca di capelli sottili dietro l’orecchio spandendo la pennellata di polvere su tutta la guancia. Se non lo avviso io si renderà conto di avere il viso imbrattato solo questa sera.
-A parte che non era convinta, e forse io non ero così convincente… Quando hai intenzione di dirglielo?-
-Cosa, scusa?-
Mi guarda come nessun altro saprebbe guardarmi.
Cogli in fallo un nerd ponendogli una domanda di informatica a cui non ha risposta.
Ecco, più o meno così.
-Il lavoro.- dice a bassa voce, e butta l’occhio dentro al cassettone in cui sto rovistando. Seguo la direzione del suo sguardo, e faccio apparire una scatola rosa ricamata, quadrata e piatta.
Set di segnaposto in argento.
-Non dire cazzate.-
-No, aspetta, sembra una cazzata, ma prova a pensarci… Tu cosa preferiresti? Sapere o non sapere?-
Soppeso l’idea mentre soppeso l’inutile scatola.
-Sapere. Ma se sapessi una cosa del genere non le permetterei di continuare.-
-Beh…-
-E io devo continuare. Per me e per lei. Vaffanculo l’idealismo. Neanche la mamma poteva dirci tutto. Diresti a un bambino di tre anni: “Cazzo, siamo nei debiti fino al collo, non so come arrivare a fine mese.”? O: “Grazie alla maglietta attillata il macellaio mi fa lo sconto.”?-
-No, ma…-
-E allora non dici a mia sorella che io faccio lo gigolo.-
L’ho zittito. Ucciso. Schiacciato. Almeno per un po’.
Si guarda attorno alla ricerca di qualcosa su cui focalizzare l’attenzione. Tipo: la ragnatela abbandonata sul lampadario di finto cristallo.
-Beh, senti, ho una proposta…- dice, e prende dalle mia mani un cacciaspiriti cinese, ferro e plastica che tintinnano.
-Proponi la proposta.-
-Ok. Dunque… Se Moony andasse ad abitare con mia sorella?-
È un discorso vecchio. Più o meno quanto la scomparsa di Yveline (Mamma, scusa se il mio cervello ti formula così).
-Monique non ti ha quasi mai in casa. Sono due domeniche che pranza con me e Yvonne.-
Yvonne è sua sorella. La pittrice che non dipinge (vedi: arte moderna - Imbrattare tele è lavoro da artigiani). Adesso fa la textile designer. Disegna i disegni dei tessuti.
E ha un appartamento, in rue la Boétie.
Un bilocale, poco più di un appartamento per studenti, poco meno di un appartamento vero.
Non abbastanza costoso per condividerlo con uno sconosciuto, non abbastanza economico per sguazzare nell’oro.
Un appartamento da single.
-A Yvonne farebbe piacere…-
E potrei anche pagarle l’affitto.
Ma potrebbe significare: pago qualcuno per avere mia sorella lontano. Come si paga un ospizio per allontanare la nonna arteriosclerotica.
Ma non è così, Moony. Ma come spiegartelo?
-Beh, proponiglielo…-
-Davvero?!-
-Sì, davvero! Ehy, non è che lo fai per provarci con Moony…? Da quando lavoro quante volte sei stato qui?-
Un bel po’.
Gliel’ho chiesto io, sottolineando quanto Moony fosse sola.
Ma lui di certo non si è lamentato, e adesso guarda come esulta.
-Comunque pagherò qualcosa per l’affitto…- continuo, e con il braccio infilato nel cassettone sento gli ultimi libri sul fondo. –Voglio parlargliene io, senza che Moony ne sappia…-
Mat annuisce, e controlla la rilegatura di un catalogo di vini. Colla pressata.
-Ok, come vuoi… All’inizio ti dirà di no, ma non le farà certo schifo avere qualche contributo in più…-
Beata franchezza.
Le mie mani trascinano gli ultimi due quaderni. Copertina rigida, ruvida.
-Non dire niente neanche a Yvonne. Tanto lo so che questa cosa mi complicherà tutto…-
Sbuffo, e i due quaderni si mostrano alla luce. I due diari, Cristo, che per la legge di Murphy dovevano essere l’ultima cosa che dovevo trovare!
-Sì, ma almeno Moony non si sentirà sola. Magari dorme qualche notte qui e qualche notte da Yvonne…-
Eccole, le frasi con la calligrafia di mia madre che quando ero piccolo mi risultavano incomprensibili, scarabocchi forcuti e arrotondati.
-Al massimo… Andiamo a pranzo da lei! Sono le dieci e mezza, e ci manca solo un cassettone… Ma quelli sono i diari?-
Sì!
… “Oggi Edward ha fatti i suoi primi passi. Gattonava di fianco alla sua vecchia culla, quando si è sollevato appoggiandosi al divano.”…
-Sì, cazzo, li ho trovati! Aspetta, aspetta…-
…“Halloween. Risotto alla zucca. Aggiungere acqua calda per non interrompere la cottura.”…
-Era ora… Ma proprio in fondo al cassettone dovevano stare?-
-Già… Ehy, cosa significa “allotment”?-
-Boh.-
-Dov’era il dizionario?-


C’è Mon, due notti fa, che guarda Serge, guarda me, guarda Serge.
Io mi limito a guardare il pavimento piastrellato.
-Ma perché?- chiede Mon, a metà tra l’imprecazione e la supplica. Perché proprio Edward?
Perché proprio Mon? Penso io, ma rimango immobile, distaccato, sperando bastino le sue lamentele a risolvere la situazione imbarazzante.
Serge alza le spalle larghe e ossute, e sfoggia l’espressione più innocente che il suo volto spigoloso gli permette, ossia la più falsa.
-Perché siete simili, e perché i clienti vogliono vedere in voi un fratello e una sorella incestuosi da aggiungere all’harem. Deliziosamente incestuosi.-
È colpa di Mon. Della farsa smorfiosa che adotta quando siamo nei locali, quando mi prende a braccetto e mi insulta sottovoce mentre fa intendere di adorarmi.
-La voce non l’ho messa in giro io…- continua Serge, e il bianco dei suoi bulbi oculari luccica. Anemico.
-È così che le persone vi vogliono, e sono disposti a pagare bene per la coppietta incestuosa. Sarebbe da stupidi non approfittarne…-
È una minaccia.
È il colmo. Mon che ha lo stesso nome di Moony e già questa è un’offesa.
-Sentite…- continua lo Spaventapasseri e chiude gli occhi. –Una sorellina e un fratellino legati indissolubilmente, la cui intesa è perfetta. Un’anima in due corpi e due corpi che allo stesso modo danno piacere al cliente, lo pongono per un’ora nello spazio che intercorre tra loro due…-
Apre gli occhi. Bianco privo di venuzze rosse. Anemico.
Apre il suo largo sorriso da bocca tagliata. Significa: soddisfazione - Non potete dirmi di no.
Mon mi guarda, soppesa, valuta, squadra, scompone, minimizza.
Ormai è un: sì.
Serge guarda me.
-Dunque…?-
Lo guardo, e fingo di soppesare, valutare, squadrare, scomporre, minimizzare.
-E quanto offrono?-
-Oh…- rotea gli occhi, si butta di schiena sulla sedia. –Nottate intere, due o tre clienti li ho già… Valutando approssimatamene… 500 o 700 a corpo per nottata, netti. Se dimostrate di essere gemelli siamesi mancati potrebbero volervi per 1000.-
Valuto.
No, sto fingendo.
In realtà non posso dire di no a nulla, o quasi. Dovrei pensare, valutare, e significherebbe guardarmi come adesso Mon mi guarda, ma con più disprezzo.
Il pompino al settantenne è eccessivo, ma la sega si può fare. Niente sadomaso per la festa di laurea della bruttona, ma il bondage è più adatto.
Il bondage è più adatto a Edward.

No, fa tutto schifo. O prendo tutto o nego tutto.
-Proviamo.- concludo.


Persona/individuo che presenta sé stessa/o come merce/articolo/prodotto assegnabile/concedibile in una dottrina commerciale/affaristica.
La mia domanda è stata:
-Perché mia madre mi sta dando della puttana?-
Ma dalla mia bocca è uscita solo l’ultima parola, e Mat si è voltato verso di me basito dicendo:
-Eh?-
-Puttana.- ho ripetuto, e lui ha strabuzzato i suoi occhioni spenti da cerbiatto di Central Park sull’appunto della traduzione.
-Potrebbe significare qualsiasi cosa.- ha replicato lui prendendo la causa. –Come dire… Monogamica situazione che si conforma nell’ottica dell’anticonformismo universale…-
-Mah…-
-E i nomi?-
Quelli segnati sul dizionario inglese-francese accanto alle parole appena tradotte. Calligrafia materna.
Il nome di mio padre, Antoine Macard, accanto alla parola “Presenting”.
E Macard Monique, il nome completo di Moony, che invece porta Trastet, se i miei non avessero divorziato mentre mia madre era incinta di lei, accanto alla parola “Itself”.
E Virginie Macard, che chissà quale mia parente paterna è, accanto a “Person”.
E Escalant Lavinie per “Commodity”, Oblinger Florence per “Allotment”, Tournassat Armand per “Business” e Chillon Ambroise per “Doctrine”, che non so chi cazzo siano.
-I nomi non lo so.- concludo.
Ci penso dopo. Dopo aver letto i diari. Dopo aver preso l’agenda e aver cercato quei nomi. Dopo tutto questo, ci penso veramente.
Ho letto una sola pagina, e ho già la nausea.




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