Ne la Prima Era Adamas, lo Homo che est prima de li homini, incatenato & vinto ne li inferi, dov’esso era sceso per liberare la Luce da Arimanno, invoca Asuramasda padre suo sette volte, sì che lo liberi da tal prigionia.
Ne la Seconda Era lo Spirito Vivente, figlio di Arimanno, crea lo mondo de le cose visibili, con volere di Asuramasda che concede la nascita de lo Tempo. Lo istesso Spirito Santo, che ha nome di Mitra, seduce li Arconti, sì che essi si eccitano, et li maschi fecondano le femmine. Per sua seduzione lo Spirito Santo diviene lo Terzo Inviato, che come la rana egli muta et balza da Umbra a Luce.
Li demoni eccitati si divoran a vicenda, si che rimangono Asgaqlun & Namrael et loro copula genera Adamo & Eva.
Ne la Terza Era, che ne l’oggi si perpetua, Adamas viene a colloquio co Adamo, sì che in chesti si risvegli l’essere che ne lo corpo suo et di sua consorte est la Luccicanza che Arimanno rubò a li cieli, et che a suoi figli demoni trasmise, fin che hebbero a rimanere Asgaqlun & Namrael, genitori de li homini.
Così est, che Adamo & Eva altri figli generarono, et Luccicanza hebbe a disperdersi ne li homini di tutto lo mondo.
Chesto est nostro gran peccato, l’ingordigia de volere per noi la Luccicanza de Cieli, così che lo mondo de tenebra sia contagiato et la Luccicanza una sol magnifica cosa non pò divenire.

Ne l’anno 1198 Jacopo & io heravamo ne la Terra Santa, ne la città di Costantinopoli de l’Imperatore Alessio nemico di Slavonia.
Lo nostro viaggio hebbe la compagnia di tal mercante Pietro et suo seguito, che ne la città andava a commerciare di perle & sete.
Ne lo viaggio hebbi a conoscere tal Fucito, fanciullo de la età mia lo cui padre lo aveva posto ne la aspiratione de mercantaggio, et Fucito era di Pietro l’apprendista.
Jacopo hebbe mal umore per tutto lo tempo, dato che ei non avea tollerantia per compagnia de mercanti, che “avidi & ingordi essi sono, et offesa per l’Ordine nostro Puro”. Mais lo padre mio pare havesse ordinato tal viaggio, et ne la scarnità di tempo, hebbe Jacopo a trovare come unica scorta Pietro et suo seguito. Così Jacopo disapprovava mia amicizia con Fucito, che egli diceva essere “condannato a la ignorantia de popoli di denaro, et Fucito mala compagnia per anima Pura”.
Era Fucito ragazzo assai strano, et tale era suo modo di esser che la persona sua causava me soggetione, et pure ei era anco per persona mia di grande fascino. Era egli assai di malo modo, la parlata de volgo e l’ignorantia su cose sacre, mais sapea li segreti de la vita spiccia, tali li giochi de forme di vetro et mirabilie di magia di natura, che sapea con le parole causare lo riso et con sue movenze imitar li altrui gesti.
Ne la città di Costantinopoli era noster dimora lo protettore di Pietro, tal Agusto consigliere de Imperatore.
Era sua dimora tra le più magnificenti ch’io hebbi a vedere, con li tetti rotondati di marmo, et di marmo coronate porte & pavimenti; in ognuna stanza avea colori sgargianti di pietra di lapislazzuli & rosa de corallo, la porpora de perle & lo verde di oro.
Agusto hebbe a chiedere a Jacopo, ne lo pagamento de ospitanza, de li accadimenti di patria latina, de religione de nuovo Papa Innocenzo, de li concili & de li dogmi; che ei avea conoscentia di diversi homini di Chiesa di Venezia, et ei stupefatto era di magnificenza de fede nostra distinta da Impero.
Accadde indi che in tali jorni Jacopo non potesse guardar me, et quindi io a lo jovine Fucito m’era avvicinato. M’insegnò costui de le lingue straniere, et narrò me de li costumi de la Sicilia & de la Slavonia battaliera. Hebbe ad essere egli la prima scintilla di pathos che la persona mia provava per la gente de lo volgo; la parola sua era sì esperta ch’io passava hore a lo suo seguito ne le strade di città, lo occhio mio che implorava ognuno jorno narrationi di mirabilia, o ch’egli raccontasse me de li segreti di arte di sete & gemme, de li colori de li affreschi et de li oli che contenevano.
Ne le nostre peregrinazioni pagane, hebbi a visitare li luoghi de li svaghi de semplici. Da le piazze di jog, indove li mercanti movean sassi su sassi disegnati et loro discepoli imparavan chesto mestiere; portò me a li depositi de scarti, indove rocce di marmo di ognuno colore superavan entrambi ne la altezza. Et io dicea lui di come tal pietra fosse ne la tal cattedrale, et di come tal altra fosse in tal palagio.
Ne le hore di pasti, atteso che Agusto consumasse li pranzi, Fucito portava me a le locande de porto, indove maledonne da le pelli scure davan lui li scarti de la cucina, et io osservava la carne di pasto et le donne con istessa colpevole curiosità.

Che forse Adil figlio di tal donne?
Ei est ora dinnanzi lo focolare, et pelle sua brilla come pelle di cotal donne, con simile sguardo di enigma pare ei vedere ne lo foco la luce de verità, occhio attento & severo.
Oggi Adil hebbe a dirmi con vaghezza di suo proposito di tornar ne le terre di Germania.
«Et visitar anco altre, là dove Romano dicea me v’est enorme città che est mercato, indove li mercanti di tutta terra prima o poi vanno a finire.»
Tale città ha nome di Aldeigjuborg, est a lo aspetto norme fortezza su fiume, alta più di cinquanta homini loro, che son alti come li giganti, et est sì scarna ne la architettura che di sol pietra & pelli est fatta, mancante porte che tanto di rispetto che nessuno osa furto.
Dettomi chesto, io a domandare:
«Qual motivo di vederla? Che Costantinopoli ha magnificentia in ognuna camera et lo sole scalda le membra in jorno & notte?»
Risponde lui:
«Che li homini alemanni hanno lo rigore ne le membra, sì che ogni azione loro et justa et di buon fine. Pensa adunque a lo regno di Tancredi che, normanno, avea la corte che tutta cristianità lodava et suoi commerci hebbero semper a essere buoni commerci, sì che egli havea a corte lo sapere di mondo intero.»
Hebbi allora io a pensare a Ario, fratello de antichità, pellegrino ne le terre di Normandia, e di sua eresia che voleva Dio in uno et non in tre.
«Che loro dogma est si semplice come loro case?»
Hebbi indi a domandare a Adil.
Et hebbe a rispondere:
«Romano dicea me che loro est fasulla trama semplice, che paiono homini privi di morale mais che morale loro unica pervade ogni attimo di vita. Egli dicea me, per mostrarmi tal inganno, che li loro dei camminano per lo mondo con aspetto di homini.»

Ne le terre di Costantinopoli tutto era nulla, et nulla tutto; semper era mai, et mai semper.
Ne li angoli de la città maledonne sedevan a fianco di eremiti ignudi, et se ne la città tal locanda diveniva luogo di lussuria ne li deserti venivan asceti a meditare.
Fucito, so oggi, hebbe ne li pochi mesi di nostra conoscentia lo istesso valore de anni de viaggi co Jacopo; sapea Fucito essere chiave di ognuna porta, che con lo far suo da brigante sapea usare dolcezza là dove la gente dispendiava carità et sapea mostrar spietatezza là dove le anime eran molli. Era Fucito, Jacopo non hebbe a errare, malaugurata compagnia per li sentieri miei, che ei seppe aprir li occhi miei su mondo de illusione, et chesto fu per me lo nascere di dubbio. Ch’io pensava:
«Come può egli essere mille e una cosa? Adunque anco io così sono, che li homini dicono di me che son figlio di Dio et di Diavolo? Che se lo creato est figlio de Diavolo, et Diavolo fratello di Dio et figli loro di Dio Supremo, et se lo creato est a imagine & somigliantia di Dio, est indi che anco lo mondo de Luccicanza est vario & variopinto. Adunque, est io una et mille cose.»
Hebbe ad essere Fucito Dannatione & Rivelazione, che oggi tanto tali nomi ne la mente mia si uniscono, mais a li tempi era chesto gran peccato di confusione, sì che Diavolo non est Dio, et lo mio sentire lo Diavolo era per me peccato.
Ne li jorni ne li cui Jacopo non dovea aver convivio con Agusto, portava me a li santuari; in chesti luoghi lo digiuno veniva accompagnato da li Pater Noster e da la meditatione, che la presentia di Fucito hebbe ad avere in me effetto d’accrescer le visioni mie spaventose.
Dormiva io ne le stanze co Jacopo, sì ch’ei potesse curar li mali miei et nascondere le stranezze mie a lo signore Agusto.
Eran chesti li tempi ne li cui le visioni mie eran di Sacre Scritture, et Cristo & Eva, Adamo & Maria venivan scomparendo, li corpi di humana figura liquefavansi come cera et loro volti divenivan maschere di orrore.
Ricordo tal visione, ne la calda notte di estate; v’herano Cristo & Maria, et Cristo fanciullo ne lo grembo di madre diveniva simile a cadavere, le carni molli & vischiose che divenivan unica cosa ne le mani di Maria, cheste sottili come ragnatela, sì che la visione diveniva informe ammasso di colori et svaniva, sì che io rimaneva in solitudine in tal desolata conditione.
Mai hebbi a parlare di mie visioni con la persona di Fucito; ne la città ridondante de giocoso volgo la anima mia mi parea frutto di vergogna.
Ne la fine di estate Jacopo & io havemmo nostra partenza per terre di Lombardia, che in tal luogo mio magister sarebbe divenuto tal Ariante di Milano, et Jacopo in monastero lombardo haverebbe tenuto ufficio.
Era grande lo timore mio, che ne li ultimi anni Jacopo era la unica persona custode perenne de le visioni mie et indi fidato amico, di tutti altri homini havea diffidentia che lo scorrere de lo tempo hebbe a insegnar che li homini non capaci heran di comprendere lo ruolo mio, che oltre ciò lo ruolo mio havea qui dinnanzi mutamento, et io dovea dar saluto a le vesti di Benedetto che fin a li miei dieci anni havean coperto mio vero volto.

Ne la mente mia li propositi di viaggio di Adil divengon una cosa con lo sentiero che dinnanzi me scorgo. Est uno lo bivio: la ricongiuntione co lo passato de la Cattedrale in Parigi, et vita condotta de padre mio in sperantia de nuovo Messiah; lo fuggir da tali trame, ch’io guarda come si guarda festa de folli eterna, che tali jorni una volta a anno devon venire et non per intera vita.
Fuga mia con compagnia di Adil, ch’est uno ne lo mondo de mille volghi, così che Cattedrale est mille volghi in una parola.
Mais est altro proposito ne le mie trame, che chesta sian di pace co lo padre mio o di fuga: salvezza di Donna Dorotea. Di chesta Luccicanza oltre sarà narrato, mais lo proposito mio di salvar scintille di Luce da sporco di tenebre est di oggi, che la Luce nasce ne la purezza di essa istessa in talune genti, così che se la persona mia est figlia di Adamas io scenderà ne li inferi che distrutti vennero et verranno da lo sacrificio de Vero Homo figlio di Dio.

Io dicea di mio cambiamento, che per lo padre mio era forse di poco conto mais che per la mente mia jovine et indi di facile influenza le vesti di Benedetto, che altro non dovea esser che finzione per ingannare li altri, haveano sì ingannato me.
Da lo giorno di mia conoscentia co la persona di Jacopo et indi di imitazione mia a lo mondo di monaci, io m’era convinto che tal semper sarebbe stata mia vita, ch’io semper avea da vivere come monaco di Chiesa, ne la rispettanza di tutti precetti.
Così io avea imparato lo valore de lavoro, che per l’Ordine Nostro Puro altro non est che sperperamento di materia, mais per Magistrae Madre Chiesa lavoro est sacro in morale.
Avea sì imparato che copula est negatione per la persona mia, et altri illeciti accadimenti, quali lo veder corpo nudo. Così era per Madre Chiesa, che corpo ignudo est peccato, che copula est justa per concepimento et che profano est tal atto indove sì sterile.
Ne lo Ordine Puro, mio di nascita mais non di crescita, est sì peccato lo concepimento mais non ignudo corpo, et neanche copula sterile per taluni fratelli, sì che prodotto di copula per Asuramasda veniva bruciato & sacrificato.
Così accadeva che ne le notti di rituali & concili co li fratelli miei simili io avea modi di Puro, et ne lo giorno io obbediva a lo sole protettore de Cristianità, sì che io provava vergogna per li corpi ignudi de istesse persone.
Allor che io fui ne le terre di Lombardia, ne li tre jorni di preghiera & saluto tra mia persona et chella di Jacopo, egli fece me togliere veste di San Benedetto et diede me abiti di homo di borgo.
Est chesto saluto straziante per la anima mia sì innamorata de Jacopo, che li anni trascorsi co lui mi havea fatto sì ch’io vedea in lui unico saldo ponte pe lo mondo di materia. Ei rincuorò me, che ne li anni successivi poteva accadere che le anime nostre ne le trame di Arimanno avea di incontrarsi, et ne lo ispirito de Asuramasda le anime Pure tutte unite erano.
Avuto saluto, Jacopo mise me ne la protezione di Salvatore di Asti, sventurata anima ch’ebbe a essere causa di mia prima rovina.

Lo Sapere Puro detta che lo creato intero et scindibile, Bene diviso da Male, Anima divisa da Corpo. Così che anima Pura possa essere immutabile et in stato di non dipendentia da corpo, che esso sia in ognuno dove, che esso sia lacero o sano, che esso sia jovine o vecchio, che la Anima mancante di tempo, chesto ne lo dominio de Diavolo.
Mais chesto proposito con incostanza hebbe a essere in me, sì che vera scissione io ho a vivere solo ne li momenti de visioni.
In tal momenti, et così accade, non v’est ferita ne le membra ch’io senta e le ferite di animo perdonsi ne la Luce. Accadeva sì che ognuno dolore mio a la Luccicanza andava, et istesso ne la gioia, sì che mente mia semper limpida era. Mais allora che le visioni mie eran demoniache et fantasmi mi segregavan ne lo corpo, lo dolore et la gioia ne la anima mia rimanevano, et io prigioniero di me istesso.

Salvatore era homo da volto di uccello, li occhi come la aquila et becco di naso, co corpo grosso de bue.
Jacopo mai hebbe a vederlo, che in tal caso ei haverebbe compreso la sbagliatezza di tale atto.
Salvatore era, ma hebbi a scoprirlo dopo con grande disgrazia, homo debole di spirito et di malo senno, primo segno che lo padre mio potea avere in sé lo errore, sì da dimandare che lo protetto suo ne le mani de folli finisse, et rovinosamente.
Viaggiava Salvatore ne lo modo de briganti, elemosinando alloggi ne le case de contadini et poi mal parlando co la persona mia de nostro ospiti, ch’egli considerava poco più che bestie et istupidi, ignoranti de le cose de mondo. La anima mia jovine, di poco senno & giudizio, non osava far domande su tal comportamento, sì che io lo seguiva con timore pregando Iddio che li sospetti miei fossero di poca ragione et errati.
Chel che lo padre mio ignorava era che detto homo avea con sua condotta fatto cattivo nome ne le terre di Lombardia, istigando li poveri contro li ricchi et tradendo suoi istessi compagni. Chesto ignorava anche lo stolto Salvatore, sì che viaggiava con animo leggero et con tale semplicità trattava la persona mia, quasi io fossi comune fanciullo.
Lamentava lo fisico mio debole e dava me di tutto li avanzi, sì che io hebbi a pensare che ei non avesse in sé vera voce di Dio et seguisse li comandi superiori con timorata cecità.
Accadde che, accolti in casa de famiglia di terra ne li pressi di Milano, svegliati fummo da homini de Chiesa et loro seguito di arme, et condotti su loro carro co li ordini di silenzio. Per strana sorte lo Cardinale Tommaso, colui che capeggiava lo nostro viaggio verso li tribunali di Chiesa, era pago d’aver scoperto la persona di Salvatore, pericolo de Chiesa & Lega, et avea ignorantia che su istesso carro avea persona mia, minaccia superba a confronto di Salvatore, che chesti avea detto ch’io era jovine deposto ne le sue mani da la famiglia mia, mais cambiando lo nome mio et dicendo che le origini mie era di luoghi fasulli.
Fu in tal accadimento ch’io hebbi a comprendere che Salvatore era homo di fede, che se chel giorno o ne li tribunali havesse avuto a dire la verità su mia persona io su foco de punitione haverei condotto morte.

Adil dorme su lo baule dinnanzi lo camino, che lo sonno hebbe a vincerlo mentr’ei ostinato, negligente a la idea di non poter me custodire ne la mia scrittura, hebbe a decidere di proseguire co la veglia mia.
Domandatomi ch’egli farebbe per la salvezza mia, non ho da darmi risposta. Pare ei a occhi nuovi, come li miei quand’hebbi a fare sua conoscentia, homo di poca dignità & grande astuzia, poco incline a rischiare suoi averi per chelli di altri. Mais egli così non hebbe a fare co la persona mia, che a rischio di sua mente volle sì accogliermi ne lo viaggio suo, et anche ora pone sua saluta in recondito loco per persona mia.
Le cicatrici sue han lo sanguigno colore di foco, la bocca sua aperta et li occhi serrati co fare di ansietudine.
Forse ch’egli voglia fuggir da lo spirito suo? Che per tal moto ei vole andar per mete lontane, si lontane che paese suo est nemesi di Nord?
Forse che noster incontro hebbe ad esser segno, che la mente sua da tempo avea desiderio di fuga, adunque hebbe a prender persona mia, figlio di Germania, come simbolo che promettea lui viaggio agognato. Eppur egli rifugge da lo modo mio, semper di volontà a recar conforto et fuggente da vedere ne lo animo suo la magnificentia di Dio.
Ch’egli est solo homo, ha a ripetere, a le genti annunzia li poemi di immaginatione vociando:
«Ch’io son semplice homo, ma ho a vedere che…»
Ch’io non est semplice homo, mais vorrebbe in tal momento esser tale, dannatione sì maggior ch’io cerca di fuggir da lo fato sì che lontano da li homini divengo barbaro ne li cieli di Dio.