Fede est Amore, Amore est Comprentione Pura di cosa magnifica. Qual sia l’homo che vede Regno de Luccicanza, ei haverà Amore, che tal luce est sì cosa da contemplare in sua bellezza, et Contemplatione forma più Pura d’Amore.
Li homini folli son homini senz’occhi, et chesti menton compassione che non han potere di vedere magnificanza di mondo.
Mais v’est affezione sì simile a lo Amore, nasce chesta da Pathos, acqua grezza in cui Luccicanza ha specchio, dono di Dio a noi permesso pe vedere lo volto suo, colto non est.
Folle est colui che posa occhio co ostinatione in pozza di acque et mai solleva occhio a li cieli.

Era adunque l’anno 1203, et io hebbi a trovarmi a chieder elemosina a homo semplice, che Adil nulla era, neppur vescovo, neppur credente, neppur homo di qualcheduna Chiesa, neppur homo di potere, mais semplice homo coltivato da strade straniere, eppur con magia non conosciuta a tutte le persone ch’io avea visto.
Finì ei le historie sue, et raccolse li dinari ne la sua borsa et altri beni quali cibarie, poi messosi in cammino per aggrovigliate strade de Venezia, et a chel momento io vicinammi, et non sapendo che parole pronunciare a persona che con tanta maestria sapeva me donare dette parole, presi lui per giustacuore.
Giratosi lui, vide me con modo assai adirato, et chiese me:
«Che volete adunque voi? Historia ha avuto fine.»
Guardai lui co supplicanza, et dissi:
«Chiedo io semplice vicinanza che non so dove metter piede, et io vorrò sì spiegare ognuna ragione mia, mais incapace di mover piede per chesta o altra città.»
Hebbe lungamente a posar occhio su di me, guardando vesti d’alta fattura ch’io ancora portava. Disse:
«Sembrate invece più fortunato di me, a cui dovreste parlare in maniera assai grezza. Che sembrate voi homo di taluna casata.»
Così hebbi a rispondere:
«So che chesta est mia apparenza, mais illusione. Tutto est grande illusione. Son io homo veggente di cui prima narravate, et ha mia persona dimora mais sì lontana da codesta città.»
Fermo lì stette anche un po’, et con modo di poca convintione fece me segno di seguirlo, fino a lo ponte nascosto a genti cui portò me. Prese asprigna mela da sacca sua, et con gran movimento di mani disse me ch’era mio il tempo di dare narratione.
Così dissi lui di chel che a la memoria veniva, et per tempo parlai. Dissi lui de mia persona et sua importantia qual Messiah, dissi lui de mio peregrinare pe mondo, di Costantinopoli indove molte genti avean pelle come la sua; dissi di Jacopo et Niccolò, et de cattiva sorte di mio viaggio in Milano; de prigionia di Severo et di fuga da Ludovico; et in fine, de mie visioni.
Hebbe lui a scoltare con interesse, et a finir de mia narratione parea lui aver essere in altro luogo, che non dava dimostranza d’aver intendimento de mio silenzio. Fece poi movimento con testa, così che io capii che non haverebbe me scacciato in tal jorno. Chiese me se avevo dinari, et io mostrai lui sacca che Ludovico m’avea dato. Ancora annuì, et portò me a taverna in cui aveva letto, luogo in cui hebbe a chiedere giaciglio anche pe mia persona.

Così ben pensai a li tempi, che Adil non scoltava mia parola mais voce mia, tanto abituato a sentir narrationi che poco peso dava a chelle altrui, mais gran peso a loro maniere & verità.
Move ora sue dita su liuto, co melodia sì sperantiosa che lo core noster allieta, et ancor rimembrami primi jorni di noster conoscentia, jorni in cui imaginatione sua hebbe a comporre tal melodia.
Partiremo ne l’indomani, pe la città di Parigi come da inizio fu detto, mais in detta città si haveranno vere decisioni, che propositi miei di seguir lui ne lo Nord debbon esser sì temprati da visita a luoghi miei cari, che tutto par ora a la persona mia differente, sì che io non sa dire se rivedere Julius haverà in me moto di affetto o di sprezzo.

Tre jorni rimanemmo ne la Città di Venezia, la persona mia semper ne le stanze di taverna, sì timoroso che Ludovico potesse trovarla, et gran condanna per anima & corpo haverei avuto.
In tal jorni praticai digiuno & lodi a Asuramasda, che rimanesse seco me in tal difficile accadimento, et che desse luce a la persona mia; così Mani supplicavo di venir a mio fianco, che le genti di tal locanda eran sì gran pericolo a li occhi miei, chesti semper d’attentione che io non sapea che haverebbero potuto fare se avessero visto in me volto di Vero Homo.
Pregavo così anche persona di Adil che con fretta tornasse, che ei parea non aver timore de miei; niuna domanda hebbe a farmi in detti tre jorni, quasi temesse di aver risposte come io temeva di aver visioni.
Partimmo poi co meta a Est, che ei era sì co meta di Parigi, mais molti de suoi peregrinaggi da cantastorie havea a fare. Partimmo noi in carro di mercante di herbe, per cui svolgevamo lavori di mano in jorno et in tardo jorno Adil narrava lui et sue guardie historie di immaginatione.
Fu in tal jorni che Adil fece me sue domande, et io raccontava lui come fossi amico fidato de Chiese di Francia, di fratelli Puri et disgratie che Arimanno avea posto su mia strada, mais lui ancor credeva ch’io fossi folle.
Accadde poi in notte che havemmo a dormir in villaggio di Giustascala, mercante & guardie sue in alloggi de paesani, io & Adil in depositi per mercanti. Frequenti herano et sono nostri giacigli, luoghi fortuitamente non adoprati da nostri compagni di viaggi.
In tal notte hebbi io mia visione, che li fantasmi tornavan a le porte et eran anime di homini di Venezia dannate a li inferi, che chiedevan mia redenzione et trascinavan me per scale ripide & maltorte de Inferno. Urlavo io in chesta visione, et Mani imploravo che da Cieli salvasse me, così che lui indicò me figura, forma di poca forma come altre che sedeva su angolo de baratro. Hebbi sì modo di avvicinarmi a tal soccorritore, che Mani aiutava me a scacciar fantasmi nefandi; raggiunsi tal figura, et chesta, che era Adamas Homo, compagnò me a Regno de Cieli.
Svegliatomi ne lo indomani, trovai me vicino a persona di Adil, et ei hebbe a raccontarmi che ne la notte lo corpo mio come vuoto avea mostrato lagnanze, et in preda a delirio avea avuto convulsioni tali che Adil credevami su momento di Morte, et io avea detto taluni nomi lui non conosciuti; avea cercato la persona mia Adil, et lui havea preso me co intento di dare me veglia, mais incapace, mais io avea cessato in brieve tempo di mostrar lagnanza.
Così poi Adil aveva detto:
«Ho visto sì molti folli, che han visione di parlar con li angeli o con fantasmi di defunti maligni, mais mai ho avuto tal spavento che lo corpo tuo pareva sì spezzato.»
Nulla disse oltre in tal jorno, mais maniera sua hebbe a mutare, che hebbe da tal jorno in poi a trattarmi come persona lui vicina, come parente, et parlò me di lui co pace in ispirito.
Noster viaggio continuava, et in ogni gran paese Adil prendea giaciglio per una o due notti, che ne lo hore di veglia teneva suo genere di feste, con canti & trucchi di magia, semper attento a passo di judici di Chiesa, portando immaginatione a le genti a prezzo di giaciglio & cibarie, et in fortunati casi dinari.
Tal est la maestria sua in jog di illusione ne Illusione che hebbe vanto di riunir in stessa piazza per jorno uno casato Guelfo & casato Ghibellino.

In chesta notte Adil guarda me co rispetto di riverenza, ch’ei ha semper gran rispetto pe homini di lettere, et oggi ha detto me che conclusione de narrationi son di importantia quanto narrationi istesse, sì che ei non osato metter mano a la carne mia et con gran umiltà ha domandato me di molte cose su noster avvenire, su viaggio a Nord e su figure di Dorotea.
Così ei ha chiesto:
«Che intendi adunque co li affari di Donna Dorotea?»
Et io ha dato risposta:
«Non v’est vera decisione, che già est compiuta. Mio il compito di salvare ella, che niuno conosco in grado di tal opera, che niuno vede in ella valore che ha a merito.»
Chesta risposta di Adil:
«Tuo intento est sì cosa da mirabilia, di historia di immaginatione, mais ne la verità di mondo noster, gesto tuo sarà sì condannato.»
Così ho avuto a rispondere:
«Ognuno mio gesto haverebbe condanna, così est? Mia nascita fu ad esser condanna, mais pur redentione. Così sarò per donna Dorotea.»
Et ei a dire:
«Da ciò che conti ella est donna di gran fama, così che gesto tuo haverà ad essere sì pericolo.»
Così est. Che gran rischio a salvar Dorotea, mais di importantia sì maggiore ha a essere rischio suo, a condur vita di abusi a anima sua.

Eravamo io & Adil ne le terre di vicinanza a la città di Milano, che ben volemmo lontanarci da suoi conflitti.
Prendemmo noi compagnia di homini di vassallaggio, homini d’arme che compagnavan Donna Laura di Milano a terre di Nord, ch’ella seguitava viaggio suo verso sposalizio ne le terre di Spagna.
Era Laura donna sì animosa, che tanta non era sua bellezza mais avea ella gran attrattiva, co modi di fare che nobil donne imparano, sì decorosi & accorti.
In jorni precedenti Adil avea spesso a ripetermi co termini di jog che persona mia ancora infante era, ch’io ero sì incapace di trattar affari co le donne così che ei tentava me a li jog di carne co le donne di sua compagnia.
Persona mia era sì di poca attrattiva, co sguardo fanciullo che guarda historia di mondo co timore, sì che donna di compagna di Adil guardavan me come cosa ancor piccola & ignorante, così che trattavan me come loro figliolo, co gran riso di Adil.
Accadde che, in primi jorni di noster viaggio co Donna Laura, ella hebbe a mostrar me sue simpatie et suo volere di dolce colloquio, così che ne l’hora di sonno hebbe a chiamare me ne lo carro suo, et tal hebbero ad essere suoi motivi che io nulla serbai per carezze sue, et con gran voracità bevvi da calice de mirabilie di materia.
Accadde così ch’ella hebbe a cacciarmi, et in gran strazio & lacrime a dir me che vita sua aveo portata a rovina, che a tempo di suo matrimonio nobile suo la haverebbe sì ripudiata.
Hebbi a fuggir co gran spavento, et trovai Adil in veglia che avea trovato giaciglio mio vuoto; co credenza ch’io avessi avuto visioni avea cercato me, così che tutto hebbi a dire lui.
Finito lo racconto mio prese lui le cose noster et con furore hebbe a dirmi che haveremmo preso fuga ne la notte, così che Donna Laura non haverebbe potuto trovarci.
Disse me co gran timore:
«Persona tua sconsiderata, che adopri come amante nobildonna, che ella haverà in grembo figlio bastardo.»
Così hebbi a capire co gran sgomento de mio immane peccato.

Ne le settimane a seguito hebbi a pregar Mani che chiedesse perdono per persona mia, io che aveo perseguito gran peccato, et così dispersa Luccicanza.
Hebbi poi a comprendere che stoltezza, chesto pathos che non ha Amore, hebbe un frutto che mai haverà Amore divino.
Hebbi a comprender che genti di volgo non han intendimento di creatione, che fornicano come si nutrono, co indicibile ignorantia de pane soprasostanziale.
Per chesta mia malaugurata azione niuno potrà pregare.

Noster viaggio havea a proseguire, in solitudine & mancanti di compagni, ancor vicini a la città di Milano, et vicini a monastero ricordante mio saluto co Jacopo. Hebbi a dirlo a Adil, et a chieder lui di far meta detto monastero che così haverei forse trovato mentore Jacopo, et chesti haverebbe portato me a Parigi. Adil hebbe a compiacermi, così che a tal monastero giungemmo.
In tal luogo Jacopo, ch’io nominai, non era, e abate Paolo, che avea gran stima de mio magister, disse me che egli avea avuto partenza ne li anni passati, diretto da ordini superiori a luogo di Terra Santa; hebbe a aggiungere che haverebbe dato ospitanza a persona mia ormai laica, co permesso di aver partecipazione a Santissima Messa.
Era giunto, così ei disse, da jorni homo santissimo, nobile Guglielmo da Kassel, feudatario & vescovo, di santissima Fede, pronto sì a portar a le sante sedi esperienza sua, ch’era homo di voto & homo di terre, così che Magistrae Madre Chiesa havesse a vedere in qual modo potesse governare su Impero, a copia de usi di Germania.
Ringraziai sì premuroso abate, co fermo intento di trovar persona di Guglielmo, fautore de infelicità di Donna Dorotea qual suo promesso sposo.
Hebbe Adil a sentire tal colloquio, e pronunzia di nome di Guglielmo, et hebbe ei a temere che persona mia si movesse sì follemente; di chesta sua preoccupatione nulla hebbe a dir me, et in segreto seguiva le mosse mie.
Così accadde, che cercai io li alloggi di Guglielmo in segreto, et giunto in tali luoghi ch’io ancor non avea avuto decisione su che moto adottare, sentii io discorrimento di Guglielmo co lo abate, nascosta persona mia oltre loro porta.
Dicea Guglielmo:
«Dico voi che non dovete aver timorantia, che in terre di Germania li homini di Chiesa son ben addestrati a li affari di governo. Prenderò io in sposa Dorotea di Amiens, donna che voi forse conoscete; est casato suo sì vicino a lo pensiero mio, che lo padre suo hebbe a decidere di portar soccorso a la mia impresa, che ne l’Impero Cristianissimo ci sia un sol homo per preghiera & arme.»
Et così hebbe a continuare:
«Vogliamo noi che Impero & Chiesa unica cosa siano, et tal pensiero portare. Così che la nobile & santa discendenza mia riverà ne le terre di Francia, co sperantia di portar buon esempio.»
Così parlava, di suoi scopi di gran unificazione et di Donna Dorotea che con pena avea conosciuto, ch’est Guglielmo homo co gran spavento pe donne, sì che dava intendimento che haverebbe ei trattato gentilissima persona di Dorotea co riguardi sì minimi,
Ebbi così gran moto di ira, et la persona di Adil trovai a impedimento; al mio seguito erasi posto in gran silenzio, timoroso sì de miei atti folli. Con forti maniere hebbe ei a portar me ne li alloggi, indove mi diede libertà, et disse:
«Ho sì scoltato li discorsi da te pur scoltati, mais di nulla utilità potea esser tuo gesto, che parea moto d’uccisione a persona di Gugliemo s’io non ti avessi fermato; di nulla utilezza, che non per causar gran danno a la persona tua, che abate ti haverebbe sì fatto fermare ne le prigioni, et con certezza vita Dorotea non haveresti mutato.»
Così disse me, et lo ispirito mio calmò. Continuò poi:
«Se la meta tua est salvatione di Dorotea, come poc’anzi hai avuto a dimostrare, agisci sì con intelligentia. Li scopi di Guglielmo indagherò, se così vorrai, et con justo tempo haverai essere di qual modo adoprare per tuoi intenti.»
Così Adil fece, et persona mia finse malore sì di evitare Santissima Messa, che Guglielmo non haverei saputo trattar con riguardo et ei non dovea riconoscer persona mia, che per persona sua Johann mai più sarà incontro.
Guglielmo est ora ne le terre di Germania, et in anno a venire ha ei intenzione di dare matrimonio, ne lo mese di Agosto ne la città di Amiens.

Ho poc’anzi interrotto lo scrivere mio, et chiesta a Adil vicinanza a la persona mia, che come ei disse vergare ultime pergamene est di fatica pari a intere tutte notti di mio manoscritto.
Co mani ne le sue et suo occhio sì premuroso, ha chiesto me per qual motivo sia in cheste notti a narrar di mia vita.
Così ho dato risposta:
«Ho sì iniziato per creare precisa idea di mia vita, di qual passi movere, se ne la Cattedrale di Nostra Dama o per le terre di Nord; pe capire in qual modo movermi verso Donna Dorotea, se con passo de potere di mia persona de santi uffici o se con mani di homo da strada; pe capire di mio padre, che come ben vedi semper est perenne figura, ch’io mai lo dimentico mais anzi lo pensiero mio lo segue. Che se io scoprissi vero volto di mio padre, se lui avesse a sentire che la persona mia tutto sa, allor fors’egli accetterebbe Johann come figlio suo, et così haverei modo sì semplice di agir su maligno Guglielmo.»
Et ho proseguito lo discorso mio:
«Mais altri li pensieri miei quand’hebbi a posar penna, che era Vero Homo a posar penna, et cosa sì di importantia homo non di norma, homo di Inferno & Paradiso, che ha visto cose di mortali a li mortali nascoste & cose di Dei. Così hebbi a chiedermi: qual cosa può Messiah? Può ei solcare terra come homini mortali o li passi suoi han romore sì differente?»
Così Adil ha chiesto a la persona mia:
«Qual est pensiero tuo al volgere di tua historia scritta?»
Ho io dato risposta:
«Pensiero mio ancor più confuso, mais anima mia ora sa più cose, che li timori miei son sì esili et qual sarà ad essere la strada mia io haverò modo di viver essa.»
Adil ha colto me con espressione benevola, et detto me:
«Così est, et così sarà. Che lo homo ovunque cose può fare, sì che ei sappia di poterle sì fare.»

Partimmo da monastero di Paolo ne lo jorno a seguire de Santissima Messa, persona mia timorata & angustiata, a lo modo di dire de Germani. Più niuna speranza aveo in cor mio ne li rispetti di Magistrae Madre Chiesa, che chesta avea accolto co gran favore lo peggior nemico di Dorotea, sì peggior nemico di persona mia.
Dissi Adil che, pe grazia a la bontà sua, haverei seguito mete sue senza indugio alcuno, che, et chesti pensieri hebbi a serrare ne la bocca, era forse vero che homo di strada potea esser sì amico et non homo di Chiesa o Impero, ne qual ranghi persona est sì co troppi compiti tra li palmi.
Accaddero sì diverse cose in noster viaggio, cose varie & variopinte, che ne li mesi seco Adil ho avuto a vedere più cose che in vita mia passata.
Ho visto sua bravura magica ne l’uso di parola, et suo historie semper di mirabilia, quali historia di iscassini, homini arabi come lui che portano Morte a homini di potere, et vivono detti iscassini su monte simile a paradiso; historia di gran fama est chella di re buono impiccato che parla a genti vive, a la vista sì temibile che niuno osa dar seppellitura; de potere de nomi di sapienti, che li maghi usan mescolare detti nomi a li intrugli loro.
Ho avuto conoscentia de modi di discorrere propri de genti di lavoro, ne le cui case parola est cosa sì strana, che parlan come mangiano, et come fornicano, co modi grezzi & rapidi, storpiando parole come fossero li figli loro, quasi che la parola fosse cosa da portar a età adulta, semper pronta a subir mutamento. Par sì che ognuna loro azione sia di carne, così che credon Dio sopra le loro teste, che pioggia est lacrima di Potentati et lupo Diavolo istesso nascosto, et han rimedi per ognuno malanno, quasi che voglian render misericordioso Dio co loro gesti & magie, quasi che Dio fosse umano come loro.
Ho sì imparato che v’est vera saggezza ne le genti di lavoro, che tali di chesti homini han visto ne la persona mia Vero Homo, movendomi doni & preghiere.
Ho imparato di dolci colloqui, con gran timore di ripetere mio peccato, che son sì fasulli che stordiscono li sensi et mutano gli umori, mais, cessati, son come mai accaduti, che di rado lo animo trovasi elevato, sol rinfrancato di timori mai di vera esistenza.
Ho imparato che tal vizio, godimento di cose effimere, est cosa sì di homini, che Arimanno ha dato mille modi di adoprar tal vizio; jog di carte, jog di combattimento, trastullamenti co opere di pittori et co opere di maghi, fornicamento sterile, trastullamento de lo atto di far finta creatione di teatro, bevande che movono li sensi a lo piacere, et altre cose, che ognuno paese ha suoi jog, suoi modi di far nulla movendo tutto.
V’est dunque male nel viziar la carne con lo esser de lo vizio? Che li homini paiono sì non saper di azioni compiute, sì che quando ciò ha a accadere li homini prendon via di eremitaggio, quali li flagellanti. Così Adil, che ben ha in essere che suoi modi di trastullamento son vani, finge di non aver tale essere et gusta li sapori.
Eppur homo che vive di illusione conduce vita et vita procrea, così che altri homini tali a padri condurranno istessa vana vita.

Ho sì chiesto a Adil suo pensiero, ch’ei par ben volere persone semplici, et ei ha dato tal risposta:
«Est cosa mia, che io ho mani & corpo per jog di carte, co li occhi vedo le pitture, co bocca mangio. Forse est Dio ne Cieli, mais non in chesto luogo. Che dunque vita dovrei condurre? Ho preferenza sì a dar jog a li altri homini che chieder loro dinari per mie chiese, o comprentione per mie flagellazioni.»
Et io a dire:
«Eppur tu sai che son cose sì vane & false, sai bene tu.»
Et Adil a rispondere:
«So bene forse, mais sapere che lo pomo ch’io mangio diverrà cosa morta come lo corpo mio non toglie a detto pomo suo gusto. Pur la persona tua, che ha avuto vita eletta et maestri grandi pensatori di fede, rifugiasi infine ne li piaceri de la mia persona, sì che co lo passare de stagioni bocca tua sentirà gusto di pomi.»
Così est, che persona mia co piena tutela, co magisteri eccellentissimi et co visioni di Asuramasda & colloqui co Mani ha ora rifugio ne lo mondo di materia che nutrasi di materia, così che lo pane quotidiano compagna pane soprasostanziale.

Lo viaggio noster hebbe a continuare, pe le città italiche & francesi, et in fine a la casa di sosta che protegge le noster persone da piogge difficili a cessare.
Molte historie & avvenimenti hebbi a conoscere, pe amicitia co Adil et pe vicinanza co lavoratori, che come ho detto trattan ognuna cosa in istesso modo.
Fin a li miscredenti arabi son giunto, ad aver a compagnia compagno di Oriente che vive su illusione in Illusione, mais forse est chesto inizio, che Mani da Oriente venne.
Adil guarda me, et ei est ognuna cosa. Est Anima & Spirito, est carne, et sollazzo, est compagno de viaggi sì difficili, et ancor compagnia quando ha a soccorrermi in mie visioni.
Genti di passato son sì cosa fasulla ne la mente mia, ch’io ora ho imagine di Jacopo mal finita, che tanti li anni che havemmo a trascorrere insieme mais di sua persona unica imagine est volto sì severo & core non di facile scrutazione, eppur ora ch’ei non est qui dinnanzi par a mia persona di aver vera comprentione di ei. Così est Julius, homo prima che hebbe a crescer me, mais homo di imagine sì timorata & debole.
«Mai nulla haverà modo di uccider lo passato tuo, che anche lo Dio tuo par aver proprio passato.»
Così ha detto oggi Adil, et continuato:
«Pur io, sì di poco interesse a lo passato mio, son cosa unica con esso. Par tu di volontà a fuggir via, a prender strade di Joglar, et in chesti mesi ha la persona tua visto cose sì barbare che non pari più tu istesso. Ho sì piacere co la persona tua, che par mutare come li serpenti mutan pelle, et ha potere anche su altri, sì che anche Adil est oggi persona sì diversa. Mais pensiero mio, or che ho avuto a vedere vere tue fattezze, ha sì dubbio su tue decisioni.»
Così ho dato risposta:
«Non so ancora dire de futuri miei, se a Parigi o ne le terre di Germania, mais bene so che vista est mia. Par a te che muto io allor che seguo la tua via, mais aver vita co lo essere di oggi ne le aule di Nostra Dama haverebbe ad esser mutamento sì doloroso, quale il seguire lo viaggio tuo.»
Così est, che mondo est di diversa fattura. Nostra Dama ha avuto mutamenti, Ordine Puro ha avuto mutamenti, che forse lo padre mio non hebbe in considerazione. Persona mia pur ha avuto mutamento, che la pelle mia più volte lo mondo ha strappato dalla carne.
Mais v’est anche moto mancante di ragione, moto che Niccolò nominerebbe “non conosciute vie di natura”, che le persone di importantia han valore sì effimero pe rigide norme di giudizio. Lo padre mio, che niuno hebbe a indicar lui come genitore, che ei mai hebbe colloquio co la persona mia, che lo Amore mio tutto est privo di spiegatione.
Donna Dorotea, che niuno parve notare ne la sua Luccicanza, che nulla di sua persona so, che pochi furon i momenti in cui far giudizio di lei.
Adil, che a voce sua est persona sì distaccata da Luccicanza, che est pe genti di mondo diavolo benigno.
Eppur cheste persone sì importanti, genti che causano in me moto di Amore, che più vicine a Luccicanza paiono. Et ognuna altra gente per me senz’occhi et mancante orecchi, sì che son come cosa futile & vana, sì che non recano a la persona mia altro che conforto esile de Pathos mancante Amore.

“Scenderà adunque Adamas et a cospetto di Adamo & Eva andrà. Dirà ad Adamo parole di sussurro, et tali parole saran la voce di Asuramasda. Avrà allora Adamo comprentione di gran disegno di Dio, et haverà in se istesso scelta & colpa, che potrà ei scegliere di dar Morte a sé stesso et a sua consorte, con gran grazia de Cieli et eterno paradiso; oppur potrà ei scegliere di dar vita co Eva, co gran dannatione de Cieli.
Così Adamo avrà a scegliere, di compiere peccato suo.
Così che, ne la Terza Era, Adamas tornerà da li homini et in sussurrò dirà a lo Messiah prescelto parole di Luccicanza, che son la voce di Asuramasda.”


Terre di Francia, anno 1204 in Jesus Christe Domine, pe volontà & parola di Johann di Hannover.