Ne lo principio lo mondo era di Luce. Arimanno geloso, gemello secondogenito che havea casa ne le tenebre, riunì li esseri de lo buio et ne lo regno de la Luce andò.
Ei veniva da Sud.
Et allora Asuramasda hebbe una figlia, la Madre di Vitae, et chesta hebbe figlio lo homo che est prima de li homini. Est egli lo salvatore sacrificato de lo mondo.

Non vi est gratia ne la scrittura di cheste pagine. Est lavoro di mente & core, mais non intriso de lo sacro peccato de li cristiani: la immaginatione.
Est chesta immaginatione lo inganno perfetto di Jehova Diavolo; mente di homo crea mondi ch’egli chiama fasulli, ma tali mondi scacciano la Morte.
Ne lo mondo cristiano sacra est nascita, peccato est lo concepimento sterile. Li adoratori di Madre Chiesa perpetuano le anime loro ne li corpi di figli, et chesta est immaginatione de la mancata Morte.
Adil, et ognuno joglar, crea per altri l’albero di Vita. Comprende egli lo male di mondo et indi incapace di attingere per egli istesso da la fonte de Vitae; da essa attinge con secchio et disperde le acque ne le campagne altrui. Folle est ancora lo suo umano amor di folle verità, chella finzione che si finge vera a li sensi minori.
Ei est, però, veggente, che con li occhi de l’anima vede la orrida forma de lo mondo, mais ritrae li occhi e dice a istesso che fors’egli male ha visto.
Adil non dorme in chesta nottata. Seduto su lo giaciglio legge le sue mirabilie di inventione, le historie di genti & paesi lontani che va narrando. Suo occhio, in chesta contemplatione, est tristo & malinconico.

Ne l’anno 1194 hebbe l’initiatione a li pellegrinaggi. Differivan chesti da li comuni pellegrinaggi ne le mete, che eran varie & variopinte.
Mentre li anni a me si vicinano le figure si fan più chiare, li particolari meglio ricordati, mais lo tempo istesso mi inganna et non ricordo ormai quale meta vien prima de le altre. Ricordo tappe ne li vari santuari & monasteri, ne le viscere de la terra mentre li padri di Chiesa latina cantavan messa ne le cappelle.
Jacopo, ne l’anno 1194, venne a chiamarmi ne la mia cella e disse me ch’era tempo di visitare lo Impero & la Chiesa, ch’era doveroso per persona d’importantia quale io ero il conoscere li mille volti del lo mondo in decadenza, di vedere la terza era de lo mondo de Puri et la quarta de lo mondo de Cristo, di visionar con occhi miei li misteri tutti.
Ora so, in passato ignorava, che lo proposito di Jacopo non hebbe ad essere di Jacopo istesso, ma de volere de padre mio.
Jacopo diceva:
«Lo studio de la fisionomia de li regni non differisce da lo studio de la religione, che tutto est materia de istessa matrice.»
Era egli homo forte, de la tempra de francesi che Re Filippo dimostrò a Jovanni di Britannia, homini con lo sangue forte de italici et la temperanza de climi gelidi. Havea egli corpo e fattezza d’homo di vita laica, la pelle de lo sole e li occhi neri altissimi, era egli capace d’intendere là dove era menzogna & timore, homo difficoltoso ne la compassione per l’altrui debolezza.
Era però rispettosissimo de li ordini superiori de lo padre mio, ch’egli diceva persona di tale intelligentia & acume ch’io non dovea usare dubbio ne suoi confronti, che li insegnamenti che lo padre mio mi poneva erano cosa giusta. Dico lo padre mio, mais Jacopo mai lo chiamò in tal modo; diceva egli “maestro tuo”, la voce rispettosa & salda.
Una di nostre prime tappe fu la città di Creil, e vennero ne li mesi Nayou, Combrai, Ypres, Malines. Erano nostri soggiorni lunghi o brievi, in cui li signori & li ecclesiastici venivano presentati a la mia persona, et io digiunava et salmodiava pe le loro case & chiese.
Lo nome mio era a li tempi in certa misura conosciuto, in tal modo che ogni persona ch’io portava il saluto & lo inchino guardava me con li occhi sperantiosi. Era io germoglio di nuovo Messiah, che tra li poveri e li ricchi portava lo verbo & lo dogma; a lo modo di noi Puri, la parola mia era non parola mais gesto, sì che ben pochi furono li miei colloqui, eccettuata la persona di Jacopo.
Era l’inizio de mia conoscentia in religione, ne l’imparare li dogmi de le chiese ch’io visitavo. Da la latina Chiesa imparai lo scrupolo de lo lavoro, la disciplina de canto, la preghiera & le Sacre Scritture; lo distacco da la donna & l’herboristeria. Da la Chiesa Pura appresi li salmi di Mani, lo digiuno quattro dì a la settimana et ne le feste, la sacralità de la Preghiera a lo Padre Nostro ed la diffidenza ne confronti de la Croce, che tanti monaci di buon cuore vengon confusi da la visione di tal simbolo et credono d’esser salvi da li dolori eterni.
Ne le città li signori chiedea d’aver colloquio co la mia persona, sì che Jacopo, ricevuto da loro lo documento che permettea d’avermi presso loro case, assentiavasi due o tre jorni, senza far poi domanda di chel che accadeva.
Fu forse chesta fiducia cieca ne li ordini di materia, peccato di Jacopo, lo caso fortuito per cui hebbi a conoscere la scelleratezza de lo libero arbitrio.

Li occhi di Adil guardano la sedia mia con mal celata preoccupatione. Credo io che lo fantasma suo sia preoccupatione per sua & mia persona, ma non ne indovino lo pensiero.
Ne la giornata di oggi ha seguito lo digiuno, azione sì benevola, mais preoccupatione che est egli grande peccatore de li peccati cristiani et mai astienesi da l’ingordigia ne li sapori.
Le cicatrici sue si fa de lo colore di sangue, che forse ferite dentro lui s’aprono.
Oggi ha chiesto me:
«Pensi sì che lo mondo tutto sia nullità? Che sia falsità ben lo so, ma che sia nullità est vero?»
Io, prese sue mani, ha cercato di confortarlo, et dire lui de la poca importantia de le questione di materia, che pur lo affanno suo altro non est che illusione che vento de cieli pò allontanare.
Ma egli est solo homo, et io teme che mia sia per sua persona dannatione, che nulla mai potrà colmare lo abisso che le illuminationi ne l’anima sua scavano.
«So solo raccontar storie, chesta est vita mia, poco finora ha importato de la verità de li miei racconti. Io solo so che li draghi che li eroi battono altro non est che cani, lo importante era ciò che li avventori scoltavan. Ma io oggi so che lo drago altri non est che cane pulcioso, che la fanciulla altri non est che maladonna ch’io racconto tal storia ne la sperantia di cibo & letto. Chesta maladonna così ben l’ho tramutata ne la immaginatione mie che la notte, svegliatomi ne lo giaciglio, io sorprende ne lo letto mostro et non femmina.»
Che egli ha visioni, et le sue son visioni mal fatte, che mostran qualcosa et qualcosa celano, sì che ne la mente sua verità viene menzogna tale la menzogna.
Così est che ei oggi non ha pronunziato che poche parole, che avesse paura di ingannare esso istesso con la voce sua.

Vi est chesta figura ne la mia memoria, notte che come fuoco est marchio ne la mente, tale che ne le settimane che ebbero a seguire non hebbi dignità di rivolger domande & confessioni a Jacopo, et est chesto pensiero sì forte che da chel giorno non vi est momento ch’io sappia dimenticarla.
Ne le terre di Ypres, ne lo monastero de Benedetto cui Jacopo avea me affidato, era dinnanzi me Olderico, abate di detto monastero.
Era la stanza pervasa da fumigatione d’herbe me sconosciute, et Olderico in veste nera et serpente di argilla tra le mani, et egli invocava:
«Ascoltami Padre Satana, ti chiamai io tre anni fa, ed oggi accolgo lo figlio tuo. Donami lo sapere!»
Ero io ne la mia visione che le fumigationi avean svegliato, et riecheggiava in me lo nome di Satana, sì che io lo ebbi davanti, et Satana istesso in me entrava. Era egli, che la sua forma est varia, fanciullo di fattezze simili a le mie, detto che io non sapea da due anni qual era mia immagine, che Jacopo mi avea ordinato di rifuggir li specchi. Avea Satana li capelli chiari & lo viso scarno de Perfetti, come lo corpo, le ali di angeli macchiate di sangue nero, et viso dolcissimo di madre.
Hebbe a essere chella notte tra più malvagie di vita mia, che per tutte le sue hore parve me pura & dolce di paradiso, mais che nessun digiuno hebbe mai a bastare per annullamento de peccato de mia mente, anco oggi vivido & blasfemo.
Est Satana infatti spirito potentissimo, che sa pungerti co lo piacere de sensi, et far sì che tu crede d’aver tra le mani la Luce mais tra le mani hai feci di porco, tali in lordume che l’acqua più pura non ha modo d’esser di purgatione.
Chesto Satana fece, chella notte, mais le feci sue ne lo corpo mio dimorarono, et io ancor non so dire se tali feci mi furono allora deposte tra le mani o se io semper in me le abbia avute. Che Satana ha potere su lo tempo come Arimanno, che hebbe a chiedere cinque giorni per creare lo mondo. Che Satana sa dimandare inganno, et far sì crede che le hore sian già future e che lo tempo non esiste più, mais lo mondo est invece ancor esistente.

Ne li primi tempi in cui hebbi a viaggiare con Adil ei tentò lo spavento, et il nome istesso de lo Diavolo (lo cui nome est ne la lingua di Adil) pronunziò, dicendo sì che egli istesso era figlio de lo Diavolo.
Est suo scherzo, chesto, di operare per vie di natura & scienzia, facendosi credere mago de le potenze demoniache. Sa egli far volare li tessuti et moltiplicare la persona sua, ma niuna magia adopera de lo Dimonio di Chiesa latina, la sua est magia de Dimonio che chiamatosi creato si disse Dio.
«V’est indi differenza tra Dio & Diavolo, si che lo Diavolo sa fingersi entrambi?»
Li anni sono a le spalle mie, et più lo tempo passa più non so far distintione tra Asuramasda & Arimanno, sì che ne le mie ultime visioni io son parto de loro accoppiamento.
«Io son parto di homo & homo, di donna & donna, bue & bue, son cosa indi impossibile a nascere, sì che quando nasce non est figlio di nessuno et indi può vedere là dove nessuno vede, che nessuno sono.»
Lo dissi a Adil ne lo nostro viaggio, che lui mostrò me la rana femmina che si feconda con se istessa. Così io hebbi a chiedermi se Asuramasda & Arimanno non fossero che istessa rana; et chesto fu lo pensiero che condannò me, ch’io pensai di vedere oltre la luce istessa.

Ne l’inverno seguente a la nostra partenza, Jacopo portò me ne le terre di Germania, ne castello ne le terre di Hannover.
Hebbi mia stanza ne li alloggi de la servitù, et Jacopo disse me che nessuno dovevo rivelare chi ero, che dovevo fingere d’esser uno semplice novizio ne lo nome di Santo Benedetto. Così hebbe a essere per un mese, ne lo quale mio unico compito fu di curar me istesso ne la pratica di digiuno & preghiera, senza dar o ricevere parola con niuna de le persone.
Fu chesta, io crede, la casa mia natia, ch’io hebbi in visione lo padre mio.
Ne lo letto mio abbandonai lo corpo, et vidi ne l’antro de la porta sagoma d’homo ch’io credetti ne lo primo momento essere la mia istessa persona. Ma chesta persona era sì alta, et barba fluida & bocca aspra, et rughe de li anni di homo et non jovine, co lunga cicatrice su la fronte alta.
Guardava chesto homo lo corpo mio disteso, con rispetto & timore, con l’animo affetto da sentimenti benevoli. Allorché lo homo fu uscito hebbi a tornare ne lo mio corpo, lo quale afflitto da immenso dolore gemeva immobile. In breve tempo venne Jacopo, sì che, io hebbi a capire, qualcheduno lo avesse avvisato de spasmi miei. Dissi Jacopo de la visione mie, ma ei rispose che jovine ero e mal interpretavo li segni di Dio.
Tre giorni passarono prima de la nostra partenza.

Raccontata ad Adil detta nottata, dettogli de lo mio desiderio di comprendere lo viso de lo padre mio, chiesi lui de li suoi genitori. Adil mostrò me ch’egli havesse dimenticato le questioni di nascita, mancante di curiosità su chi lo avesse portato a la vita.
«Lo studio de la historia est buono per la conoscentia de lo nostro presente, ma ricorda che in chesto vi est illusione, che tutti siamo figli di unico Padre e che lo padre carnale altro non est che padre putativo, che lo sangue di homo poca importantia ha per lo futuro Perfetto quale tu sei.»
Jacopo mi disse chesto, allorché io avevo sei anni, mais ancora non so abbandonare lo desiderio de l’imagine de lo padre mio.
Domando me: colui ch’io chiamo padre est sì mio padre? Et se egli est tale, come io nacqui? Mani mandò egli un segno, sì che io dovevo nascere per essere Messiah? O lo padre mio mi hebbe per errore, et mentre io era ne la madre mia egli pensò di aiutare me ne lo divenire Perfetto mai presentandosi a me?
Ne le mie peregrinazioni li ospiti miei talune volte mi nominarono come “colui che nacque ne lo anno, ne lo jorno e ne le ore dimandate da Dio”, et altri disse me che a la nascita mia Dio istesso venne a la porta a benedire me.
Mais anche figlio di geni orientali, fui detto, et filio de li Potentati con li homini.
Le istorie su miei natali somigliano a le istorie narrate da Adil, indove li principi son figli di nani & giganti. Ne la follia de verità, che così Jacopo nominava lo mondo di materia, le fattezze mie spingon me semper verso lo Nord, et io non sa ignorare che pelle mie est parto di tali et non altre terre.

Ne l’anno 1197 io et Jacopo tornavasi ne le terre di Filippo, indove hebbi a conoscere lo contrario de lo mondo, chella parte che si cela ne le viscere de la terra.
Fui ne lo monastero di Benedetto di Caen, et in chello di Arras, la persona mia ne le celle nascoste venne relegata, sì che li monaci mai mi vedessero, et talune notti lo vescovo et altri alti prelati scendevan tra le pareti del la terra.
In una de le notti in cui io rimaneva in solitudine, svegliatomi da visione si angosciosa ch’io credeva d’essere ne li inferi, andai a cercare Jacopo, sì che con le sue dure parole facesse me capire ch’io poteva non temere.
Percorreva io le stanze de sotterranei, allora che sentii lamenti di donna in luogo vicino.
Temendo di essere ne li inferi io volli vicinarmi a tal dannata et, ammetto mia curiosità fanciullesca, vidi li inferi tutti riuniti in detta stanza.
Eran lì, sì vicini et molti che io non sapeva capire quanti fossero, homini & donne d’ogni età, ignudi & tremanti; taluni gemeva, altri urlavan di dolore, e ne li corpi de anziani riconobbi li prelati che ognuno mattino ne la cappella facevan messa.
In tal spaventosa visione, sì ch’io credeva d’essere morto & condannato ne li inferi, comparivan li diavoli, li musi caprini con proboscide d’elefante, e li corpi gonfi & molli; tali diavoli sputavano su li corpi et univan con loro bava li homini con li homini, come fossero porci ne lo recinto.
Ecco che venne lo diavolo cuoco, et lo pavimento diveniva brace con la carne de li homini che bruciava et ancora urlava.

In chel avvenire fu Jacopo a salvarmi, che ei la mattina trovò me in terra ne la mia cella, con le febbri & le convulsioni.
Chiesi lui s’ero morto, et egli mi rincuorò, spiegò me che quel ch’io hebbi a vedere altro non erano che li semi di Arimanno che fingevasi apostoli di Cristo. Con chel modo suo di insegnare con durezza, spiegò me che lo mondo nefandezze ancor più nefande avea, mais che lo core mio puro non dovea temere lo fato altrui.
Ne lo core di oggi la paura est divenuta invidia, che homini sapea viver di menzogna et professar menzogna, sì che la vita loro di menzogna era et menzogna era loro cibo.
Mais la gola mia, ne lo adoprar tale sostanza, si contorce & ribella, così che anche gesti tali il fornicamento altri non sono per persone mia che parte su la Verità, che nulla io so fare che mi dia conforto, che li fantasmi miei anche dietro la carne altrui annidasi, sempre pronti a sussurrarmi loro immani verità.
Così che indove li altri homini trovan benda per coprire li occhi, io trovo porta che li occhi li spinge.
In chesta hora di tarda notte Adil dorme, mais sguardo suo ancora oscurato. Ho a pensare che forse la justa azione sarebber posar penna et fuggire, sì che Adil forse non haverebbe più tal incubi.
La prima volta che lo hebbi a vedere, ne le strade di Venezia, la voce sua hebbe lo dono di darmi sperantia, che la persona sua tale era in gioia che nulla poteva adombrarla. Con la voce sua più d’una notte ha fugato li fantasmi miei, mais ora essi vincono, vincono me et ammorbano lui, insidiandosi ne le sue cicatrici e nutrendosi di sua gioia.
Ogni Messiah, disse Julius, abbisogna di gran numero di sacrifici, quasi egli fosse verme de la carne che nutrasi di vita altrui. Mais lo ventre mio est vuoto, et ogni giorno che viene la magrezza de spirito s’avvicina, che ciò di cui nutrimi non nutre me mais l’abisso infinito de li demoni che dietro me si nascondono.