Calice est dono di donna, che homo non ha per sua natura capacità di dispensar acque. Parlava io di acque de primordi, visione di mondo così detta pagana, est sì parte di historia che vien prima de le Sacre Scritture, che in esse est Jehova, in verità figlio di Dio.
Che Dio est non conoscibile, Luce sola che non ha dono di parto. Egli divenne poi donna e con seme suo hebbe Jehova, creatore di Mondo. Da Jehova, così Arimanno ha nome ne lo Oriente, venne poi ad essere Adamas, che “Dio crea a sua immagine et somigliantia”, così che l’homo semplice ha in animo suo facoltà di creatione. Mais homo est Asuramasda fecondante et donna est Asuramasda calice, che est Arimanno.
Così che homo sa dispensar lo seme di suo sangue et femmina sa esser vaso ne lo cui Asuramasda depone sue idee.
Vero Homo est homo che, come Adamas, est prima de altri homini, sì che lui, come Cristo, dispensa lo frutto de lo seme di Asuramasda.
Così che era mio compito duplice: accogliere le Visioni opera di Asuramasda et, in mio fato di Messiah, dispensar tali visioni a li homini. Chesto era per me pensiero semplice come acqua che scorre, che io pensava che pensiero semper haverebbe aiutato le genti, et semper mia persona haverebbe avuto tal riconoscimento.

Tommaso di Milano hebbe a portare me & Salvatore ne la sua città, sì simile a Venezia, ch’io ancor non conosceva.
Entravamo noi ne le porte di Milano in veste di eretici, ad attender processo. Percorremmo lo Naviglio maggiore, et lì la persona mia hebbe a rendersi conto de la vera proprietà de vestigia di Chiesa Latina, che riconoscendo esse la gente guardava nostra carrozza con timore & diffidentia, sì ch’io compresi che condanna per fede mia Pura di Magistrae Madre Chiesa ricadeva ora su mie spalle et me istesso condannava come mai hebbe a fare.
Con grande vergogna io & Salvatore, che non aveva mostranza di timore alcuno, fummo così prigionieri ne li tribunali di clero di Milano.
Hebbe ei a rivolger me parola una sola volta, et disse a voce bassa:
«Poca importanza hanno le parole de la gente che ti porrà domande, et poca importanza Justitia di tal preti, che tu deve ricordare che in nulla dovrai tradire la Chiesa nostra Pura.»
Così disse, et mai più lo vidi, che vennero noi date separate celle.
Volle ora lo Caso che a li tempi era ne la città di Milano tal Fernando, che era homo di amicitia con lo padre mio, de la amicitia de le cause nobili, et era egli homo che hebbe ne lo passato fede Pura, mais che li eventi portarono a rinnegar esse.
Tal Fernando sapeva di mia nascita, mais questo hebbi a intuirlo tempo dopo, et saputa de la condanna a lo eretico Puro Salvatore di Asti con suo discepolo di Germania, hebbe ei a indovinare chi fosse la persona mia.
Essendo Fernando homo di gran possedimento, accadde così che lo mattino che hebbe a seguire mia carcerazione, mentre Salvatore era ne li tribunali di Chiesa, che l’haverebbero poi condannato a fiamme purificatrici, la mia persona veniva ad essere in custodia di Fernando, che diceva ei di conoscere me et diceva buon conto su la persona mia.
Chesta mia libertà, hebbi in poco tempo a scoprire, era in verità prigionia.

Quando hebbi a raccontar a Adil di chesta mia prigionia, ne li primi jorni de lo viaggio noster, hebbe ei a dire che fortuna, dei di pagani, erami venuta in aiuto, tanto che per fede mia Pura supplizio doveva essere cosa di minore importanza.
Est egli sveglio, et scrive su suoi fogli co tenacia, et io crede che sua tal affermazione germoglio di invidia, che ei non ha in cor suo Dolore come cosa buona. Ei dice che dolore est sintomo di sfortuna, sì che semper le cose buone son compagne di allegria, che li homini di tarda età han lo riso in bocca, che chi non ha conoscentia di tal qualità more giovane, che lo core suo divien debole.
Et dice pure che non vi est homo che parla di cosa a lui non conosciuta, sì che io sa che Adil di tal dolore est compagno, come homo est compagno di propria mano, che est parte di suo corpo et adunque condannato a condur vita con essa.
Fu chesto suo sentir lo Male di mondo che hebbe a portare a la mente mia lo dubbio, dubbio che Vero Homo est homo come lui, che lui vede Dio come persona mia, mais Adil, mancante di dottrina, hebbe a decidere di rinnegare visioni sue, et vender cheste a lo popolo, sì che non gravassero lui.
Che Messiah abbisogna di sacrifici, et sette i passi che vengon prima lo sacrificio finale, quando lo Messiah istesso divien sacrificato. Così Messiah, che vede et ascolta parola di Dio, di ogni Male ha a essere.
Ma lo Male, hebbi a scoprire ne lo anno 1199, est cosa beffarda, sì che mai puoi presentarti ad esso, che semper ei si vicina a te.
Jacopo avea me insegnato lo Male ne la negazione, li dolori di digiuno & gelo, lo torpore di membra et la decadenza de lo mondo nostro. Mais heran chesti male a me conosciuti, et operati con tal dovizia ch’io credea di aver oramai ognuna conoscentia di Male, sì che io avea anche li dolori di visioni mie, et cheste niuno potea dar me se non li fantasmi.

Fernando era signore di botteghe, et casa sua sì ricca & festosa che ricordò me li mesi in Costantinopoli.
Hebbe ei ne la accoglienza mia li maggiori riguardi, sì che hebbi stanza decorata & calda, con lana & sete ne lo giaciglio, fiori & geometrie su li muri, legni di alberi di profumo ne lo camino; era mia stanza gran prova de li miei cambiamenti, sì che io hebbi a comprendere come miei vestiti ben si accostassero con tal caso, et di come mia anima nulla avea a che spartire con detto decoro.
Disse me che avea conoscentia con lo tutore mio, persona ch’io chiamava padre, di cui non disse nome mais disse egli che tal cosa non avea gran valore, che in tal ora persona mia era salva et in sicura dimora, ch’io nulla avea a temere.
Disse egli de le leggende su conto mio e di sua fede Pura. Era Fernando, io credo, homo mancante di fede, homo che ne le fattezze di Dio vede lo potere supremo di magia, sì che quando egli pronunciava lo Altissimo li occhi sua avea la brillantezza di curiosità & cupidigia de assatanati.
Io crede oggi che suo fosse come esperimento di alchimista che ha per Fato in mani sue ingrediente rarissimo, et chesto usa per li scopi suoi.
Rincuorato me, et mia persona massimissima gratitudine per tal persona ch’io considerava homo di salvatione, hebbe a chiedermi de le visioni mie, sì che io dissi lui di ciò che vedevo, anco de li fantasmi maligni, che lui particolar attentione avea per tali accadimenti. Ricordo li gesti suoi di homo di materia, che gran daffare avea nel movere le mani grosse, quasi che, non avendo ei lo ascolto di Dio, cercasse co le mani sue di attrar lo sguardo de li homini. Era di volto ovale italico, con naso lungo & debole, bocca di donna, occhio molle di gatto.
Domandava egli molto de le impressioni di Dio, de le fumigatione & de li concili Puri, et ascoltava di confratelli con strano disprezzo celato, sì che pareva lo suo rammarico; scoltava nostre discussioni Lisa, segretamente nascosta dietro le porte, con li orecchi attenti & peccaminosi, che volendo lei avvicinare la mia persona avea sentito di cose più grandi de la persona sua.
Era Lisa donna di moglie di Fernando, et tessitrice di abiti di casa; era bella & jovine, mais colpita da peccato di Arrogantia, sì che per curiosità sua mai diede retta a li padroni, et a persona mia, che voleva usar mano per vedere Verità.
A lungo ho pregato ne li anni che sua brama si potesse calmare, che la Gola strozza lo ingordo.
Lisa era anche, su domanda di sua padrona che voleva accontentarla, unica altra persona ch’io hebbi a conoscere, che ne le stanze mie ero prigioniero, mais hebbi a saperlo con disgrazia.
Fernando portò me fumigationi ch’io avea detto lui, et in dette stanze cercava di vedere le visioni mie, di venire in grazie con Mani e li Domini.
Ne lo primo jorno nulla hebbe a vedere, et con timidezza hebbe a ritrarsi; ne lo jorno secondo neppur vide, et si adirò con se istesso; così accadde ne lo terzo jorno; ne lo quarto jorno pure non vide et disse ch’io lo ingannavo, et che li Domini lo cacciavano et che mia persona era folle; ne lo quinto jorno pure non vide, et adirato maledisse persona mia che di niuna utilità era, come fasullo prezioso.
Ne lo jorno sesto distrusse turibolo et mandate ne la aria le ceneri, usò violenza su lo corpo mio, co mani sue et ferri di camino. Ne lo settimo jorno, come Jehova sia dannato, hebbe a fare festa, sì che io non vidi lui et niuna altra persona.
Accade in tal due jorni che lo corpo mio imprigionò la anima, che li fantasmi nefasti con corde & catene legarono me a la materia, et dolore non hebbe ad essere che dolore, che Mani lontano ne cieli attendeva et Cristo ne la compagnia sua, mais io in tale stanza ero, et niuna immagine era per me che chella di materia; così che io tutto hebbi a vedere, che niuna altra cosa era per me oltre la persona di Fernando, et suo Male supremo, che lo Mal est indove la mente non sa vedere.
Accadde così che Cristo per me pregò, che li dolori miei fossero ne la sua deità, sì che io non cadessi ne le grinfie de la Morte.
Era mia paura in similitudine a chella ch’io hebbi a provare a lo cospetto di Olderico, accadimento de li miei sei anni, che quando detto abate nominava in me lo Male lo Male tale diveniva, et mio ispirito di tal sostanza diveniva. Così Fernando, ch’io ero lo Male & la Fasullità, mais niuno demone hebbe a venire in me, così che io ero male in umano.
Ne lo jorno ottavo venne a lo giaciglio mio Lisa, che con silenzio & panni lavò me non movente, et piangente chiedea me di perdonar li avvenimenti, che Fernando diveniva in tal suoi eccessi homo di malvagità. Disse me ch’io doveva aver calma, che la fortuna mia, et est tal parola si usata da li spiriti di materia, era sì grande, che grande importantia avea vita et che niuna cosa havea importantia oltre che io fossi vivo et non bruciato da le fiamme.
Hebbe così a capitar che tal santa sua devozione hebbe a entrare in me, in tal modo che ne la mente mia Pura Vitae di materia hebbe valore sì profondo, et io volea dar mia gratia a Lisa per sua santissima fede ne lo Dio de Cristiani, colui che est per mia lingua Pura lo demone Arimanno.

Guardo ora la fiamma de focolare cui Adil si vicina, che lui ama danzar con li fochi de le feste di popolo, et in chesto foco scorgo contrasto, che est ospite de viso de Fernando et di chello di Lisa. Come Fernando alto alzasi, sì che perde sue istesse fiamme ne la aria; come Lisa scalda chesta stanza, et da conforto a le piaghe.
Ne lo corpo di Adil li segni son ora ferite, che ne lo jorno la carne sua apertasi et mancante sangue ha portato seco lo dolore.
Adil ha a dire che chesto accadimento et non novo, che accade lui come carne s’apra, et ei nasconde tal cose per la paura che lo si creda demone.
«Che chesto est come destino di Cristo impresso.»
Così hebbi a dire lui, li occhi fissi su tal miracolo, ch’io vede in tal momenti la carne come cosa di Diavolo, sì che quando essa s’apre est segno di Dio.
«Cristo hebbe ferite di Verità, et suo fu sangue su le carni. Le mie son ferite fasulle, che forse ho recato oltraggio a demoni ne lo mio raccontar storie loro.»
Mais ei ha timore et, scopertisi li bracci, mostra a foco la carne sua aperta che lo foco ferisce mais egli non mostra tal sofferenza, sì che con occhio attento guarda sua carne.
Suoi segni, che paion ferite di foco, hebbe ei a dirmi esser de le terre di Kolojan, che quand’egli traversò per jungere in terre di Filippo hebbe a attraversare. In tal terre, ne li anni di padronanza di Bisanzio, Dio incollerito, che ne lo Oriente Jehova est mancante compassione, hebbe a mandare la malattia, et lì lo corpo di Adil di piaghe simili a morsure di insetto hebbe a coprirsi. Animo suo forte hebbe sì a vincer la Morte, mais semper segno di punitione.
«Joglar son portatori di ognuna cosa, che nel raccogliendo storie capita sì che ti colgan li malanni.»
In tal modo ha a dire de li suoi segni, et con tal collera pare dar occhio a chesti.

Compagnia di Lisa fu mia grande salvezza, sì ch’io hebbi a sentirmi devoto ne le immagini de lo Dio suo, sì cariche di sperantia di vita et di amore per lo mondo nostro.
Capitava così, che, prigioniero ne le mie stanze, avea visite di Fernando in taluni jorni, co la persona sua che bestemmiava la mia et con bramosia sua colpiva lo corpo mio; in li jorni tutti veniva me Lisa, a portar lo cibo et a confortar lo animo.
«Devi esser sì clemente, che lo homo est debole, che ne lo dolore di mondo ispesso la anima cerca vendetta o conforto, si affetta da bisogno di sperantia.»
Diceva ella me, et con lo corpo suo si vicinava, a ricercar chella istessa confortatione ch’io non capiva, che bastava me la parola sua per aver conforto.
La mente mia altro non vivea che la sua persona & chella di Fernando, co le visioni che confondevasi co lo ispirito de Lisa, che io guardava ricordo di Jacopo & padre mio come cosa di altra persona, et chesto ricordo diveniva di forma vaga come accadeva co li corpi di Cristo & Maria. Era sì sconosciuta la figura de padre mio che Jacopo diveniva tale, et lo padre mio diveniva visione di me ne la vecchiaia, in tal attimi saggissima persona et in tal altri homo rovinato da peccati.
Mentre la persona mia prigioniera in Milano, lo mondo mutava, et in condanna si maggiore diveniva per la Fede Nostra Pura, et tal accadimento est oggi minaccia a tutti li fratelli, sì che ne lo viaggio co Adil ho avuto a vedere di come decine di homini cessano ne le fiamme purificatrici.
Ne la città di Milano tal moto di minaccia diveniva cosa vera, sì che li vescovi eran capaci di intendere con semplici prove la fede di uno homo. Accadde così, mais fu Lisa et non Fernando a dirlo me, che chesto decise di uccidere mia persona, tanto avea timor de lo foco.
Co lo spadino a la mano venne ne le mie stanze, mais la pietà lo vinse, et ei disse me ch’io sarei stato si libero mais con giuramento di nulla riferire a lo tutore mio.
Così io hebbi a giurare, et per prima volta a mentire, che dissi me che se mai avessi visto lo padre mio ognuna cosa haverebbe saputo; mais per lo valore di vita che Lisa mi hebbe a mostrare io decisi di portar menzogna, che la fiducia mia ne li homini era ora perduta.
Ne la mente mia semper era lo essere che ne la Chiesa Latina v’heran ognuno genere di homini, che con nome di essa li homini potevan nascondere anima loro infedele; mais tal fasullità avevo visto in Fernando, sì che io hebbi a capire che la menzogna est in tutti li luoghi, che tutte le strade son proprietà di Arimanno.
Così Fernando mandò me ne la casa di cugino suo Osvaldo, et era chesti vero fedele di Asuramasda et signore amico de lo vescovo di Carcassona, sì che in gran fretta raccomandò me per lo viaggio in terre di Filippo.

Fu chesto, io credo, gran dono di Mani, che le visioni mie ora non erami di conforto et la sperantia in Luccicanza era sì ne lo pericolo. Hebbi a comprendere, con tal gesto, che li Dei mai mi haverebbero tradito, che Asuramasda istesso volea per mia persona vita buona, sì che a le trame di Arimanno hebbe a salvarmi. Mais Dio prodiga con gran semplicezza lo Bene, non prodiga sì la conoscentia; che lo Bene est cosa mortale co li mortali; conoscentia est cosa divina.
Adil non dorme ora, con Mattino a lo Orizzonte, ei guarda le mani sue ferite mentre cheste muovono le corde de liuto, che ha sono rumoroso & lento come lo foco che more.
Canta de le canzoni di giganti di Svevia con lo tono sommesso de la preghiera, et invoca lo sole che diradi da cheste terre le acque che tutto annega. Li viveri son pochi, et se ne li jorni che verranno pioggia scenderà rimarremo mancanti cibo, sì che io pratico lo digiuno così che ei possa nutrirsi, che corpo non di abitudine nel digiunare in pochi jorni cade a terra.
Eppure ei di chesto non ha preoccupatione, che mangia co modestia et dice di non sentire li sapori quando li pensiero lo vince.
Est egli di mille difetti, sì che egli istesso sa far elencazione de cose di poca justitia de sua persona; son sì tanti li moti de animo suo, tanti quanti li dei de lo mondo; che forse est in chesto suo barbaro modo di vita lo avvicinarsi de li sogni di Asuramasda, che tutto est?
Adil guarda me co tristezza, che più cose di Dio Diavolo vengon a noi più la hora di fine agognata divien lontana a li occhi.