Scorreva l’anno 1191 in Jesus Christe Domine, e la visione mia permeava la stretta cella di Nostra Dama.
Bernard, ignudo ne lo suo corpo rubicondo, girava intorno a me, turibolo in mano destra et una piuma di fenice ne la sinistra. Salmodiava:
«Che la carne che ti copre si apra e fugga da chesta carne l’anima tua, su fin nel Regno de la Lucicanza.»
La sua in qual modo buffa sagoma ridondante rotolava per la pareti, et sempre più si facea informe, enormità di sfera viandante bruno scuro, et altre sagome lucicanti intorno a la sua.
«Asuramasda, io invoco lo nome tuo, nostro Signore clemente accogli l’anima de lo tuo protetto.»
Bernard proseguiva la danza, incolume a li tocchi de suoi spiriti affini, che li passavan ne lo corpo et ne uscivan, et così facevan con lo mio, passandolo da braccio a spalla, lentamente, conquistavano ogni mia membra et me ne liberavano.
Fino a che, con lo corpo ormai insensibile, puro come un’anima Pura, insensibile a lo respiro e alo rumore de lo cuore, l’anima saliva et in Asuramasda contemplava li potentati che presiedevano alle porte de lo nostro mondo.

Accade chesto tredici anni da oggi, quando io ancora era bambino.
Relegato ne le cripte de la Santissima Cattedrale di Parigi, luogo sacro ne la terra e ne lo cielo, le fumigationi e lo diligente magister Bernard che con diligentia apriva la mente mia por lo compito a me donato.
Erano notti di cui non vedevo la volta celeste, perennemente occupato da li obblighi de la mia professione, professione assai rara di certo ma molto dibattuta e variamente definita con lo scorrere de li anni. Notti di cui non comprendevo la portata, tre anni appena erano trascorsi da la nascita mia, tre anni di cui non ho ricordo alcuno.
Il tempo ora passa e la memoria pian piano si disfa, li rotoli de lo mio fato passato sono vaghi & confusi, le visioni che in quei tempi accoglievo con serena fedeltà ora mi rincorrono ogni dì, nascoste anco ora ne lo buio di chesta stanza.
Adil dorme ne lo suo giaciglio, et per una notte non ho voluto seguire suo esempio; tratte le pergamene donatemi da Julius, di cui oltre parlerò, mi accingo a trascrivere le poche memorie rimaste, li attimi di verità ancora veri, ben sapendo che chesto è mestiere de lo Diavolo, chesto mio voler protrarre la vita mia oltre la morte et imprigionare altra luce ne la vischiosa materia.
La lontana Parigi di cui ho narrato est ora a poche settimane da me, immutata ne la pietra, come sempre est. Ella non muterà, mais la mia mente adeguarsi non sa a la calma saggiezza de le cattedrali natie. Le mura attendono, et io ancora indeciso mi incammino per loro strada, intrappolato con gratitudine per chesta notte e chelle che verranno ne le meno sacre pareti di casa di sosta.
L’alluvione ci ha colti, le acque premono li ponti e tanto ricordano le acque profane de le visioni di noi eretici. Sprofondando, s’affannano, ovunque rincorrono le anime vive et con loro romore acquietante attirano li sconsiderati ne le loro bocche.
Adil dorme, lo sonno sereno di chi con tale acqua già vinto hebbe una guerra. Egli hebbe a vincere li fantasmi de la sua mente, li urli che tanti travolgono promettendo luce et gratiando con umbra. Mais egli, per quanto vita sua hebbe a essere proterva & insidiosa, non nacque Vero Uomo filio di Dio.
La carica mia grava su le spalle, fato sfortuito o fortuito di chi hebbe a nascere con lo istesso fato dipinto su la fronte, attendente che li magi orientali finissero cotal opera con loro sapere divino.

Hebbe chella cella lo istesso valore di ago che teneramente si ammorba ne la carne, e ne le viscere si nasconde.
Bernard era a li tempi, a miei occhi jovani & sperantiosi, homo di cultura massimissima, et per chesta ragione homo da Dio illuminato. Era Bernard, nella vera sua figura, homo di burocratia & potere, poco prono a lo volere de l’Altissimo, timorato da li homini suoi simili et non da li Domini.
Havemmo casa, come dissi, ne la Cattedrale di Nostra Dama in Parigi, indove in chelli anni lo sapere de li greci et più tardi chello de li arabi avea trasformato in luogo di conoscentia & sapere di logica & ratio, prima & grande insidia per Magistrae Madre Chiesa.
Ho a pensare, ne la coscientia di oggi, che fu detto sapere la chiave de la ribellione de li popoli, et la trappola che ferisce oggi li piedi di noi Antichi Credenti. Ho a pensare che fu Invidia a movere ne li Signori l’Arrogantia, che per chesto moto Magistrae Madre Chiesa chiede appello a li signori di Venezia.
Mais li miei sono pensieri caduti, d’uno spirito caduto di uno mondo inarrestabile.
In Nostra Dama li studenti erano figura ambigua, dormienti ne le celle de monaci, studianti ne le aule laiche. Hebbi a essere uno di cotal studenti, mais ben lontano da loro propositi.
Havea mia persona due magisteri. Bernard, mio tutore, magister in teologia & musica. Julius, ecclesiastico, posto là dove la fede mia germogliava.
Era Julius persona umile, da li toni de le foreste di Germania, homo di bassa statura avente l’incarnato ceruleo, li capelli radi e cerulei, naso adunco & prominente. L’unica sua veste era chella di Nostra Dama, et una era la sua persona, ch’egli facesse cerimonia o ch’egli istruisse li più giovani a la botanica.
Bernard era, come detto, persona altamente autorevole, da lo passo forte & chiassoso, con la tempra ne li occhi che solo ha chi tante guerre hebbe a combattere può havere. Abelardo, hebbi a pensare con ammiratione, hebbe istesso sguardo.
Era egli mio tutore, mio padre putativo et mio mentore. Chi ebbe a lui, et a tutti coloro che presero suo posto, dato li denari per lo alloggio & la istrutione non lo hebbi mai a sapere, come mai seppi di qual paese de la Germania erano li miei natali.
Chesta persona, di cui mai conobbi lo viso e di cui seppi nome, est nella mente mia colui che si chiama padre. Ancora egli esiste, ho a credere, attende con impatientia che cheste mie mortali spoglie si rechino a Parigi, così che padre Julius, come fin d’oggi ha fatto, gli scriva ch’io sono in salute.
Padre Julius hebbe ad accorgersi de le notti che Bernard usava con la mia persona, senza un sol dì di riposo.
Ricordo, con confusione & riluttanza, alcune di chelle hore.
Lo mio corpo nudo & confuso, ne la cella de le fumigationi, le domande di Bernard tacevasi ogni settimana meno altisonanti & elevate.
«Cosa est alle spalle di Papa Clemente?»
Domandava egli.
«Est alle sue spalle homo col volto d’aquila, et ha in mano lo cappio de li appesi che parlano.»
Et Clemente morì.
Fui con costanza dedito alle mie veggenze, sempre juste & indovinate, anche quando le parole mie troppo confuse erano per havere comprentione.
Egli mi chiedea de le sorti de le importanti persone, de le guerre e de li affari. Io rispondeva dimenticante, così che solo con lo sole in me tornava memorie de suoi quesiti.
Julius di tali stranezze si accorse, e domandò me che era di vero in chello che presentiva.
Io sincero, hebbi ad essere sincero per molto tempo ancora con Julius et con tutte le persone a cui lo padre mio mi avvicinava.
Hebbe così nascita la mia prima partenza, da la Parigi segregata & confortante, a le solitudini santissime de la vita de monaci.

Adil ha avuto a svegliarsi, lo fervore de la imaginatione de suoi sogni qui lo ha portato, trafelato & intimorito.
Guardando ne la mia diretione ha sì avuto cura di preoccupatione ne miei riguardi, e per li cattivi consigli che la notte & la penna recano quando danzano compagne.
Ne lo viaggio da Venezia li suoi sentimenti sono cresciuti, et semper più fratello egli si move ne la mia vicenda.
Ne le ultime notti, et in chesto momento, lo pentimento s’appressa, et penso che azione mia malaugurata hebbe ad essere chella di avvicinare lui a la eco mia.
Paura ho che come troppo Salace volendosi avvicinare a Ermafrodito causò lo dramma, così io deturpi la fiera vicenda de l’amico mio.
Hebbi a pregare lui chesta vicinanza, che tale aiuto potesse dare me ne le impervie che calunniavano la persona mia.
Hebbi a farlo et egli accettò senza remore alcuna, con volontà & dovere che uno Joglar non semper ha da offrire. Fu egli, in fine, la prima scintilla de mondo umano che mi convinse a dubitare de li propositi Puri.

Pura è lo nome de la Nostra Fede, de lo credo che Mani perpetrò ne li anni di Cristo, et che ancor oltre si porta, oltre la latina storia, oltre, intima la mente mia, la greca storia, et quella araba.
Perfetto est homo o donna che haverà la Luce, il cui corpo svanirà come le alghe vanno a scomparire su la pietra a lo sole.
Vescovo, come in Magistrae Madre Chiesa, est la persona che unisce noi tutti e ci guida.
La mia persona era in tutto questo come est reliquia ne lo tempio.
Andai a le dipendenze di Jacopo da Siena, bibliotecario de lo monastero Benedettino di Carcassona, in Provenza.
Era chesto strano luogo, uno di chei casi che in natura hanno deposto ne lo istesso terreno seme di edera & seme di rosa. In tal luogo, l’edera di noi Puri era si ben camuffata da essere scambiata per la foglia istessa de la rosa.
Una tal magia che ne li tempi de miei quattro inverni io non hebbi a vedere altro, al mio giungere, che lo tempio di Dio e de la preghiera, ove hebbi a intuire che le visioni mie in tal luogo altro non sarebbero state che eresia sacrilega.
Jacopo, mio tutore a chel tempo, homo di umili origini ma con mani di ricco homo, diede me alloggio ne le camerate di Benedetto, et allora io hebbi a comprendere che la libertà de lo soggiorno in Parigi qui diveniva la clausura de lo Santo.
Johann, la mia persona, era dunque monaco et indi di vita ecclesiastica, così conclusi.
Li compagni miei, da lo saio brunito, havean di lavoro chello de le mani, de le stanze de la cucina e de lo orto. Lo mio lavoro era ne li convivi con Jacopo, sì interessato a conoscere la ‘Jovine Perla Pura’ che lo signore, lo padre mio, li aveva con onore affidato.
Erano chesti lunghi colloqui, in cui egli mi domandava de le cose de malaugurati astri e de la Bibbia, ch’io tutta sognai ne miei primi anni di vita.
Hebbero qui a manifestarsi, ne la memoria presente, le mie prime visioni non dimandate.
Svegliatomi ne la Prima, tremante & timorato, l’angoscia fin su le membra, si movean per lo letto informi forme, istesse forme di luce che un tempo si movean ne convivi notturni tra me et Bernard.
Mais chesti fantasmi eran di spavento, et entravan ne lo mio corpo dimorandovi, non havendo intento di elevarmi mais affollatesi ne li miei occhi di mostrare me le loro orride verità. Et eran cheste di forma mutevole & sacrilega, con Cristo Messiah ignudo & zoppo et la Beata cinta di rovi.
Hebbi anche, da chei giorni in poi, visioni di altra natura, con li potentati che portavami tra le ali et guidavami a lo fianco di Mani.
Li monaci miei compagni trovavan la persona mia in stato di febbre, li occhi spalancati e le convulsioni de dannati. Talvolta, ne le ore de pasti o ne la Sesta, l’anima mia via volava e lo corpo a terra cadeva, et per momenti, taluna volta hore, a nessuno rispondeva.
Jacopo indi mi fece dare cella tra le celle de amanuensi, et mi curò e mi chiese di ciò che vedevo, et io tremavo che all’età di cinque anni già la mente mia si era resa sacrilega, et vedeva le Sacre Scritture ne li modi de lo Dimonio.
Con lo Pater Nostrum egli mi quietava, et a lo Vescovo de Puri in fine decise di portarmi.

Lo sonno di Adil ancor più inquieto si fa.
Come hebbi a scrivere, le ombre mie contagiano ormai chi a me si fa vicino, adunque la scabbia & la fame che l’amico mio hebbe a vincere nulla serviranno lui ne la battaglia con la malatia di umbra. Lo viso suo ancora ha impresso lo simbolo de la sofferenza, e ne le guance scarne li segni de la rovina si sono impressi.
Cheste sue fattezze di volto, scarno come la Morte de Cristo et bruneo come la pasta di pane d’orzo, cheste sue stranezze dieder me la potentia di supplicare la sua mendicanza.
Mesi sono passati, et li segni suoi sempre rimarranno. Non est lo Dio de Cristiani ch’io devo supplicare per salvarmi da nostri peccati, che chello Dio est istesso Diavolo che porta me li fantasmi che mi prendono.
Gran fardello est su mie spalle, dono cotanto d’elogio che l’esili spalle mie dimostratesi fin troppo deboli, fin troppo umane, per alzare cosa che di Dio est.

Lo Vescovo Puro havea per sé l’ospitanza de Signore de Carcassona, il quale, Puro anch’egli, havea lui donato per notti di cerimonia la grande sala de arazzi.
In tal sala, in tarda notte, eravamo io e Jacopo, et venti o trenta di Nostra Fede, in saio povero & malconcio.
Mio ero lo centro, su di un tavolo di marmo bianco lo mio corpo ignudo nascosto da fumigationi di erbe & minerali.
Ne lo concilio havea scettro lo Vescovo, et a suo fianco stava tal Niceta, unico tra noi tutti lo cui nome fosse pronunziato.
Fratello Niceta, la pelle di argilla secca e l’imagine di homo che compagna la morte, fu l’unico ch’io ricordo di chella infinita notte.
Era egli, dissi, vecchio, ma li occhi sua avea lo splendidore de la luce più alta, et con facilezza egli sapea movere le visioni mie là dove li fedeli chiedevan risposta.
Le visioni mie, in tal accaduto, et ogni qual volta ch’io le ebbi con fratelli miei, ebbero l’effetto di rincuorare lo spirito, vagando per li fiumi & le cascatelle di Dio, lì dove Mani attende la morte de la carne, lì dove Cristo soffre de sofferenze terrene.
Rividi una sola volta Fratello Niceta, nostro Papa, ne li anni che seguirono, ma ciò avvenne anni & anni seguenti.
Due anni hebbi dimora in Carcassona, un anno intero hebbi la possibilità di cantare con li fratelli Puri, in chelle notti segrete & bandite, ne li poderi di Carcassona & Foix, luogo de ospitali Philippa & Esclarmonda; la roccaforte di Guglielmo a Peysepertuse et chella di Puivert.
La carne in me ne li anni si aprì, l’anima mio ne lo tempo che passava sempre più divenne Essere & Saggezza di Dio.
Emissario di Dio, Vero Homo & Messiah, chesto era per li fratelli Puri la mia persona.
Poi il tempo trascorse, e appresso venirono le parole di molti.
Figlio di Asuramasda, figlio di Arimanno, figlio di Barbelo e Saba, figlio di Cristo, figlio di Adamas e di Baal. Tanti sono i nomi che hebbi come compagni, tanti quanti le lingue di Babele.

Chesto ora mi porta a guardare chel poco di mondo che oltre la pioggia mi attende et dubitare non più de li peccati di homini, ma de la Fede di fedeli.
Chesto est gran jog di Arimanno, de lo Diavolo, disse Mani. Et che l’ingordigia de homini porta loro a crear labirinti et a perdervisi, tra li rovi di parole & segni.
Est ne lo justo Mani, ma quali se suoi figli ebbero a sopravvivere ne lo mondo che li fece nascere? Quali tra miei magisteri volano oltre tal labirinto?
Adunque, tal solitudine d’animo fu anche di Mani? Cristo hebbe la forza di prodigar speranza, eppure come potea anima sua non cedere a incessanti colpi de l’eremo che si ha in spirito?
Che quando lo labirinto est sotto de miei piedi et io lo vedo in sua pavida magnificenza anco le visioni de mia mente tartassano lo pensiero, et il cor di Vero Homo fugge pavido tra le mura incatenato.
Che per l’homo di Materia est lo Spirito lo rifugio; che per l’homo di Fede est la materia lo rifugio; mais per chi è homo d’Anima e adunque Vero Homo, che mal vede et comprende Corpo & Spirito, ove est rifugio?
Per lo Spirito Santo, che anche in tal modo ebbero a predire la nascita mia, non ha a essere pace in Padre o in Figlio, che est egli istesso salvezza per homini.
Or che lo giorno est vicino et finge per li homini di splendere come cielo, or che lo corpo mortale est stanco, mi appresso a lo giaciglio di Adil, che lo peccato nostro cristiano non verrà scontato da figli, et il figlio mai da me sarà ostacolato ne tornare in padre.