DIO'S BIOS
HE BRINGS HIM THE LIGHT

Il mare notturno e i suoi riflessi.
Qualcuno lo aveva colto e modellato in capelli, fini come ragnatele, che scivolavano sulla sua fronte.
-Stai fermo così, esattamente così.- disse lei, e nascose il viso dietro alla macchina fotografica. Una ciocca corvina tagliava perfettamente a metà l’occhio, emulazione fotografica di una serpe che ieratica ti fissa, nemico; l’iride nera, profonda, catturava la luce e la inglobava, la inghiottiva e deglutiva a qualche passo oltre l’abisso.
Lo zoom catturò quel particolare, e ne venne catturato. Il flash inondò la stanza e venne risucchiato dalle pupille, che scattarono all’erta.
L’obiettivo si spostò sulle labbra, incolori, spezzate da una linea diritta e simmetrica, nulla di umano può creare una tale simmetria, intrise di un rigore immoto. Il flash scattò e la bocca si arcuò, senza indugio, scolpì le guance e permase, mentre lo zoom inquadrava il naso, le narici sottili e allungate; lo zigomo sporgente e liscio come marmo; il collo sottile e nervoso.
L’obiettivo cadde e si accucciò nelle pieghe del ventre, avaro e secco, magro al punto di piangerne il lutto; scavalcò una dopo l’altra le costole sporgenti, catturò il capezzolo e s’intromise tra le dita ossute; sfiorò il sesso, roseo, rilassato; sfiorò le cosce plastiche e i fianchi delicati; retrocedette e, tentennante, riprese in sé per un’ultima volta l’intera figura.
-Sai che sei bellissimo…- disse lei spegnendo una domanda. Non esistevano domande, al suo cospetto. Tutte le aspettative che un interrogativo si porta appresso si spegnevano nel proemio, divenendo sterili constatazioni.
Non sorrise mentre le sue dita saggiavano la carne tiepida e giovane del petto; non mostrò piacere o dispiacere, vagheggiando in una contemplazione silente.
Gli occhi di lui si spostarono altrove, inconsapevoli, ricadendo su una pila di foto accatastate sulla scrivania. Morte, pensò, e seppe che lei lo stava pensando. Quelle ormai sono morte.
-Mi avevi detto che mi avresti dato lui.- disse, e si alzò in piedi. Guardò la donna, poco più bassa, e la vide precaria come un fiocco di neve. Una smorfia di compatimento lo distrasse, ma svanì sormontata dalla frenesia. –Adesso dimmi il suo nome.-
-Non fargli del male…- osò la voce di lei, urtata da un singhiozzo.
-Taci. Se sei peccatrice e non sai redimerti taci.- sibilò lui, e arcuò le sopracciglia indignato. –Non chiedere a me di darti carità, non a me che ti ho dato la scelta di aiutarmi.-
La scostò e si diresse alla scrivania, premendo la mano sulle foto sparse.
-Ti ho onorato dandoti le immagini che volevi e il successo che avrai. Non sarai neanche dannata all’inferno, per questo. Non chiedere a me una spalla su cui pentirti.-
-Tu non puoi capire…!- singhiozzò lei, e cadde in ginocchio, le mani sul cubo nero della scenografia. Lacrime cocenti le irrorarono gli occhi e si frantumarono sulle guance. -Tu non sai cosa significa avere ancora così pochi anni davanti, e nessuna carta da giocare…-
La prima foto ritraeva un vecchio, rughe increspate in bianco e nero e, forse, qualcosa di nascosto nelle fessure degli occhi. Furbizia taciuta, segregata gelosamente, pillole di saggezza dimenticate nella tomba.
Accarezzò, la carta liscia. Accarezzò, e desiderò di non poter pensare che struggersi non ha alcuna utilità.
Mescolò le foto e le rese granelli incomprensibili di un puzzle.
-Per lui…- disse, e genuino sentì il peso che l’umanità di quella donna trascinava. -Per lui hai dovuto rinunciare a quelli che chiamavi sogni. A lui hai rinunciato per realizzarli. E hai fallito.-
Lanciò le stampe a terra, e il vecchio si confuse tra altre rughe. Onde infrante, capelli mossi artigliati a rami, e mille prospettive confuse e frenetiche. Pezzi di un puzzle incompleto.
-Lui, ti ho chiesto, con la promessa di consegnarti tutto ciò che ti ha sottratto. Sviluppa quelle foto, pubblicale, e avrai la fama che ti spettava.-
Percepì la paura, in lei, il suo animo atterrito e le lacrime frenate dall’angoscia.
-Beata Maria Vergine…- le sussurrò, e si accostò cingendole le spalle. Le labbra si arcuarono in un sorriso riconoscente. -Non hai scelto tu di partorire il figlio di Dio, e ora io ti impongo di credere a un Dio in cui non hai mai confidato. Confida in me, io non ho posto mio figlio nel ventre di una giovane donna, ben sapendo che non sarebbe stata in grado di amarlo. Confida in me, perché amo Dio e suo figlio. E ora dimmi, sussurrami il suo vero nome. Dammi il potere di averlo.-



La terra s’insinuò tra le unghie mentre premeva l’indice nella terra e la solcava.
Erano dita da Pelle D’asino che dopo giorni, anni, di vagabondaggio in terra straniera, si accosta a una fonte e purga dalla sporcizia la pelle candida e immacolata, si riflette nell’acqua e stenta e riconoscersi nel riflesso tremolante.
Andrej si tastò il viso come se fosse cieco, lo sondò alla ricerca della propria identità, strinse il mento piccolo e premette i polpastrelli sui denti, uno dopo l’altro; percepì il calore del proprio alito e battezzò con esso il nome che aveva appena inciso, il proprio nome, nella terra.
Cheslav.
“Non è Andrej il primo nome che ti è stato dato, ma per noi sei Andrej. Noi amiamo Andrej.”
-Andrej!-
La voce di Ian lo scosse, lo costrinse a fare un balzo e tornare al presente, le dita sporche di terriccio e la steppa brulla che si stava oscurando, la bruma del crepuscolo che si addensava tra i tumuli.
Ian si sedette vicino al fratello annaspando senza fiato, il viso impomatato dalla corsa. Raccolse da terra due sassi e cominciò a sfregarli uno contro l’altro, distrattamente, affrettando l’entropia con noncuranza.
-Vieni a giocare con me e Irina, non vuoi? Domani farà freddo e non potremo uscire…-
Gli trasmise una carica di speranza, incondizionata. Si morse un labbro e guardò Andrej farsi serio, e adulto; adulto e triste.
-Non sei felice di andare a Kiev dallo zio Arkhip? Vivrai in un appartamento con altre famiglie, ma avrai una chiave tutta tua… Non la vuoi?-
Buttò a terra le pietre e le dimenticò, totalmente come solo un bambino sa fare. Si sporse e guardò oltre il fratello, socchiuse gli occhi vedendo le lettere inscritte nel terreno e le sillabò lentamente, sentendo una parola nuova formarsi sul suo respiro.
-Cheslav!- ripeté, trionfante, e guardò il fratello maggiore ricercando i complimenti che gli erano dovuti. -Chi è, Cheslav?-
Andrej sospirò un singulto irrisolto.
Guardò il fratello, poco più che bambino, e alle sue spalle la bruma incombere nutrita di fantasmi lattiginosi, goffi e lenti; ammorbanti.
-Ian… Io non sono tuo fratello.-
Una strana ira lo prese al cuore, un moto ribelle simile agli spasmi che gli avevano infiammato il sangue quando era caduto nel lago ghiacciato; erano stati attimi, pochi secondi e delle braccia forti si erano immerse e lo avevano tratto in salvo, ma in quegli istanti la sua impotenza, mentre il gelo lo immobilizzava, gli aveva urlato che non c’era giustizia, ogni armonia era menzogna illusoria, e la vita si reggeva su precari e fasulli equilibri.
Lesse il dolore che ti ghiaccia le membra nel volto di Ian, e si sentì l’immeritato boia che cala l’ascia in nome di una giustizia a cui nessuno crede.
-I tuoi genitori non sono i miei genitori. Anna e-
-Dici una bugia! La mamma non ha mai detto così, ha detto che è la tua mamma!-
Ian corse via con il proprio urlo, incespicando.
Scomparve tra i fantasmi, tra le braccia di Anna e papà, lontano e irreale.
Andrej guardò il nome che non voleva avere addosso e se ne sporcò le mani, il viso, rabbiosamente raccolse la terra e la sparse tra i capelli, la premette sui vestiti, la sciolse sulle labbra umide di lacrime e la ingoiò a forza, deglutendo più volte per non rigettarla.



La chiamavano la Casa del Vecchio Pescatore, e non c’era né lago né fiume.
Era una baracca principesca, addossata a un tumulo, da ogni lato i piani che contavi erano differenti, non esisteva una logica con cui racchiudere questo capriccio dell’uomo.
Ci era stato, quando era piccolo, troppo piccolo per cercare un senso nelle cose.
Aveva vagato e l’aveva trovata, o forse era stata la Casa a trovare lui, addossata a quella zolla di terra come un vecchio ingobbito, marcescente ma dignitosa.
Sfiorò il legno umido delle scale, le travi fradice ma inodori, mescolò le proprie lacrime a quella rugiada e continuò a salire, sentendosi in pace tra mura dimenticate. Una casa di nessuno, una casa sua. Salì al primo piano e oltrepassò il vano dove una volta dove due porte creavano una stanza, e vi entrò, grande stanza vuota con piccole finestre che davano sul nulla.
Perché la bruma è il nulla, che ti contagia e ti dissolve. Ti stordisce e culla, suadente, acceca i tuoi occhi e senti di poter finalmente riposare senza preoccupazioni e magari, oh, magari, magari per sempre…
Posa sulle tue spalle le dita, ti rassicura. Non devi più temere i fantasmi, siamo tutti come te... E’ Cheslav, il tuo nome?
Delle dita strinsero le spalle, e Cheslav si accucciò a terra coprendosi le orecchie.
-Non sono un fantasma!-
Non portatemi via, sono vivo. Non vi voglio!
-No, Cheslav. Non lo sei.-
-I fantasmi non parlano…- sussurrò Cheslav voltandosi, e lo vide.
Come gli avevano detto, con gli occhi che sono la tua tomba, due pozze nere ineluttabili. Il tramonto ha sfumature, persino la bruma può essere dissolta; la Morte è inconfutabile. Sei suo quando la vedi, e la vita si rivolta dentro di te per defluire libera dal corpo…
-Cos’ho fatto?!- domandò Cheslav e, dannazione, perché morendo quel nome si era impresso nella sua memoria? Perché doveva morire sconosciuto a sé stesso? Solo, nessuna preghiera per lui. Dio Santissimo Padre di tutti…
-Shhhh…- sussurrò la Morte dagli occhi neri, e si chinò incombente.
Cheslav chiuse gli occhi, e attese il momento.
Quel che arrivò fu il tocco di labbra morbide sulle sue palpebre.
-Non sono la morte…- sussurrò la Morte, giovane dagli occhi neri.
-E allora chi sei?-
-Per favore, fidati…-

Percepì il freddo, come una melodia distante che si mostrasse, parte del creato, rivelata a lui per essere compresa nel suo significato originale…
Un velo inconsistente che attutisce ogni cosa, e ti sospinge prorompente verso il calore. E giunse, mentre le dita di Demian, il ragazzo con la morte negli occhi, si stringevano calde sul suo sesso.
-Questo è il piacere…-
Demian sussurrò, e il piacere s’infranse sulle palpebre dopo aver traversato la spina dorsale, sbarrandogli gli occhi.
Fu ghiaccio caldo, che gli intorpidì la carne.
Mille spine che serrano le vene e pompano nel sangue ambrosia, dolce come frutta e stordente come liquore.
-Questo è il piacere, e l’ha creato Lui.- sussurrò Demian, e lo cullò fremente tra le dita mentre gli apriva le gambe. –Poi venne il Dolore…-
… Premuto su di lui, dentro di lui, e mentre Cheslav sentiva la carne spaccarsi e il piacere tacersi adombrato dalle fitte che risalivano con il sesso di Demian, questi concluse:
-… Anche questo ha creato Lui.-
-Esci dalla mia carne!- urlò Cheslav, divincolandosi e serrandosi, premendo i palmi contro il petto di Demian per allontanarlo.
-L’ha creato Dio!- gridò Demian, e in qualche antro delle sue pupille una scintilla si accese, irata. Poi quelle labbra pallide furono sulle sue, morbide ma irremovibili.
Il dolore, impossibilitato a liberarsi, fuggì in un angolo stridendo.
Lo sentì gridare e assordarsi, implodendo.
Affondò lentamente, fino a che non divenne altro che una eco, un riverbero dissonante storpiato come un urlo nella bruma.
Un brusio di sottofondo.
E l’ambrosia lenire la carne, risalire dal profondo portando con sé il piacere.
Quasi fosse stato nobilitato da quella sofferenza.
Colmò ogni fibra di Cheslav, prorompente nel sangue gli fece inarcare la schiena.
-Tutto questo… Ha creato lui…- gemette Demian dentro di lui.
Cheslav comprese, le pupille dilatate all’eccesso.
Percepì Dio e il Creato, e comprese la contemplazione onnisciente.
Un solo attimo ed esserne accecati.
-… Comprendi…- gemette Demian, piegato come lui dall’estasi, gli occhi colmi di speranza.
Cheslav comprese, e fu il silenzio di ogni cosa.
-Non c’è…- pronunciò Cheslav, senza suono. –Non c’è…- ripeté, in un sussurro, sentendo la propria eco infinita.
-Prima c’era…- disse sgomento, e si sottrasse all’abbraccio dell’amante. –C’era un suono, dentro di me, il velo su cui i miei pensieri s’infrangevano e cessavano, ma ora non c’è più.-
-Hai capito Dio… Hai capito che il Dolore lo nasconde e sei andato oltre, e L’hai visto…-
Sì, il volto del Padre Universale, senza tratti, così immenso nella sua purezza che non sarebbero bastate tutte le lingue del mondo per descriverlo.
Senza sesso e senza età, unico nel buio e nella luce, lo aveva rifiutato.
Aveva ripudiato Cheslav.
Abbandonato nel mondo, al di fuori della sfera del Creato battezzato, privandolo della Propria voce.
Come Demian, nei cui occhi Dio non sostava, la cui bellezza non sarebbe mai stata sufficiente a consolare di quella mancanza.
Cheslav vi cercò il proprio riflesso, inutilmente.
-Tutti noi amiamo Dio, ma lui non ama noi. Vuole la nostra fede cieca, e quando andiamo oltre, quando oltre ad accettare il male che propina come sacro in quanto suo sangue…-
Il Vecchio Pescatore apparve, sormontando la finestra. Lunga ombra fumosa di bruma, scivolò dal davanzale al pavimento e cominciò a propagarsi.
-… Ci disconosce. Dio non si ama. La sua corte Lo ama, ed Egli la disconosce. Capisci cos’è l’Inferno…?-
Altre ombre seguirono, i fantasmi della bruma, si riversarono nella stanza e si distesero, come un tappeto, si rimestarono sfiorando le fragili assi di legno.
-Gesù non è un uomo. Gesù è il Salvatore. Tu sei Gesù. Colui che come il Nazareno è disposto a lasciarsi crocefiggere, si è reso peccatore, perché nel mondo si sappia che non sempre è la Terra a mutare ai comandamenti del Cielo.-
Le ombre cantarono. Era un fruscio grave, privo di speranza ma colmo della mansuetudine propria di un’anima che non teme la morte.
Mentre dita fluttuanti come ragnatele si sollevavano e ricadevano, l’alba apparve alla finestra. Il sole giallo sovrastò con i suoi contorni l’orizzonte, specchiandosi sulla neve del Caucaso.
Cheslav si strinse a Demian, e voltandosi vide i due occhi neri trasmutare in un bagliore accecante.
-Egli si dibatterà, morderà e graffierà per mantenere la propria utopia.- disse il mattino riflesso nelle iridi. -Non esiste Amore senza conoscenza, e tu ora lo sai. Sei dunque disposto a dare il tuo sangue per l’Amore Divino?-