-Vuoi un the?-
Moony è improvvisamente una donna adulta. Sette giorni e lei è sempre più il riflesso di Yveline.
Mamma, dammi tregua.
-Sì, grazie.-
Sì, grazie?
Si muove con sapienza. Non è più poco più che una bambina, mai veramente adulta sorellina da infastidire. Emana l’aura autoritaria, quell’aura autoritaria che non puoi contraddire.
Tazze piene fino all’orlo nel microonde e tre minuti di attesa, con il timer che si muove lento, lento, lento, e quando sono ormai alienato dall’immobilità assoluta i tre minuti scoccano.
Il rituale del the. Le bustine nella credenza, i cucchiaini nel lavabo, una sciacquata, asciugamano, il the è pronto.
Questa casa è vuota da sette giorni quando per anni non ha mai avuto un minuto di tregua dall’Essenza Trastet.
Comprendo l’inesorabile ritmo del mondo.
Moony è seduta davanti a me al nostro biancastro tavolo da cucina, pieno di graffi da taglierino e con il lucido consunto. Mi porge il mio the. Con la sua tazza blu tra le mani mi guarda dritto negli occhi.
-In questi giorni ho riflettuto… Ci ho messo un po’.-
Io sono il bambino e lei la mamma.
E la coca mi intima dalla tasca:
-Tu sei la droga.-
Stai zitta.
-Non ti perdonerò una seconda volta. La prossima volta che mi tieni nascosta una cosa del genere io…-
Io sono Edward e lei è Moony. Perché sta per piangere. Ma anche io sto per piangere.
-… Io non ti perdono più, ok?-
Stringe la tazza con così tanta forza che le nocche diventano bianche.
E sì, sì, va bene. Mai più. Maipiùmaipiùmaipiù.
-E adesso abbracciami.-
Ecco cos’è la mia Moony. L’odore delle lacrime che le bagnano i capelli e mi entrano nelle narici, le braccia attorno al collo che mi strozzano e mi cullano, la sua voce impastata che cerca di dirmi qualcosa ma è troppo impastata ed escono solo versacci biascicati. L’odore delle sue parole, caramella mou e limone.
Ecco cos’è la mia Moony.
Sono un ipocrita, sì.
Se non piagnucola e non dice “uffa” non la riconosco.
Ma sto piangendo anche io.
-Non ti mento piùpiùpiù, ok?-
Si era anche truccata, e il mascara le scivola sugli zigomi.
Hai due occhiaie terribili, sorella, quanto hai dormito?
-Torniamo a come eravamo prima, anzi, più di prima!-
Anche se diventassi la puttana di Babilonia la mia Moony mi salverebbe. Redimerebbe. Perdonerebbe.
-Qualsiasi cosa accadrà…-
-Ok, ok…- lei ride e si asciuga le lacrime.
-Qualsiasi cosa ma noi rimaniamo insieme.-
Lo so che sembra una dichiarazione d’amore.
Vaffanculo ai cliché cinematografici.
-Ok, Ed, ok…-
È che sto piangendo tantissimo. Mi inondo il viso, non ci vedo più, ho il collo fradicio, mi sento come dopo ore di palestra a ritmo inclemente.
Non me ne fotte un cazzo se è sdolcinato.
Venite qui e ditemelo in faccia, se osate.
Dovete soltanto provare.
Trovare una buona motivazione per cui non dovrei disciogliermi tra le braccia di mia sorella, che ho amato e che mi ha amato, che ho tradito e mi ha perdonato, che non esiste cosa più bella, e nessun fottuto cinico deve avvelenarmi con il suo astio.
Neanche quello che è dentro di me.
E anche quella parte, che non so come si chiama e che non si è mai presentata a me prima di adesso, e mi dice:

Allarme!


Allarme per cosa? Va tutto bene! Qui stropicciato tra i capelli di Moony come possono esistere pensieri negativi?

Allarme!


Come quelle antiche maledizioni, di padre in figlio, come mi diceva Serge.
“È qualcosa che il padre passa al figlio, e prima o poi devi risolvere il tuo demone.”
Non ricordo quando l’ha detto, giuro!
Non ricordo neanche l’avesse detto, e magari è tutta una mia fantasia distorta ma incredibilmente tangibile e vincolante.
“Sulla famiglia di chi è stato maledetto.”
E non ricordo, giuro, non ricordo di aver pensato che mia madre stava maledicendo anche mio padre e mia sorella. Non ricordo di averlo ricordato. Mentre Tournassat guidava in silenzio e io pensavo ai loro nomi su quella lamina ammuffita.
Perché non è così, dice la mia mente. Perché è solo un pezzo di latta trovato nell’armadio.
Ma qui la mia Moony, mia tra le mie braccia, è stata marchiata da una maledizione quando era ancora un feto.
Non potete dirmi che una madre che maledice la figlia è solo un pezzo di latta nell’armadio.
Qui tra le mie braccia, Moony mia, perché ho una paura dannata.
Perché ho realizzato di essere rimasto per sette giorni nella più completa e totale solitudine, con un lato oscuro di nome Yveline come madre e una sorella che ho tradito più di chiunque altro.
Significato della parola: solo.
Il sinonimo è il silenzio.

Sta studiando nella sua stanza.
È semplice, fra poco il suo anno scolastico termina e lei deve studiare. Lavoro per farla studiare perché lei ama i libri, le università dalle biblioteche immense, il prestigio di essere acculturati. Quell’odore di libro nuovo che sniffa con avidità, la fame dei suoi polpastrelli mentre fa scorrere velocemente le pagine, l’ambiente ovattato delle grandi aule riecheggianti, passeggiare con dei mattoni da 800 pagine tra le braccia come se avessero il peso di una piuma, magari con una divisa retrò che attesti il suo status di studentessa modello.
Lei ama tutto questo, anche se adesso ha una treccia da figlia dei fiori su cui si arrampicano tre anellini di ceramica: giallo, celeste e lilla. La sua bandiera trustafari. L’ho spiata dall’uscio della porta china su un fascicolo tutto giallo di evidenziatore, con la pallina lilla tra i denti e le sopracciglia sottili corrucciate di disappunto. Ho guardato i suoi piedi nudi dalla pianta rosa che ondeggiavano nell’aria seguendo le linee invisibili dell’infinito. E mi sono detto: “Va tutto bene così”.
Anche se il restante 50% della famiglia è un po’ insudiciato lei può salvare tutto, l’anima pia che salva Sodoma e Gomorra.
Anche se, spero mai o che sia già accaduto senza che io me ne accorgessi, prima o poi lei verrà a cercare da me resoconti di giornate, confessioni di brutti momenti, particolari scabrosi per tenersi aggiornata su suo fratello, già pronta ad accettarli e perdonarli.
Finché non suona il campanello.

La verità è che il signor Tournassat Business Armand è un individuo affascinante.
È proprio lui, il nome scritto accanto a :

Business [‘biznis] n. 1 - affare, affari; commercio: the cotton b., il commercio del cotone 2 azienda; compagnia; impresa; ditta 3 - attività; lavoro; occupazione; fatto: His b. is selling television sets, si occupa della vendita di televisori – Mind your own b., bada ai fatti tuoi 4 - compito; dovere; affare: It’s no b. of mine (o none of my b.), non è affar mio 5 – (us. Solo al sing) faccenda; affare: It’s strange b., è un affare strano – What a b. it is!, è un affare serio! ? b. address, indirizzo d’ufficio – (econ.) b. climate, situazione congiunturale – b. college, istituto commerciale – b. consultant, commercialista – b. deal, operazione commerciale – b. hours, orario d’ufficio – b. mathematics, computeristica – b. premises, locali (di un’azienda) – (rag) b. year, anno sociale – to go into b., darsi agli affari – to go to b., andare al lavoro – Good b.!, bene!; ben fatto! – a good stroke of b., un buon affare; un buon colpo (pop.) – to have no b. to do st., non avere il diritto di fare q.c. – on b., per affari.

Ma questo l’ho controllato dopo.
Tournassat mi ha corteggiato e sedotto con una funzionalità sconcertante, cioè: elogiare l’altra persona al fine di destare il suo interessamento, con ossequio, riverenza, cerimonie; adulare. Condurre al proprio volere o al male con opportuni e abili allettamenti e sollecitazioni. Anche affascinare, entusiasmare conquistare l'amore di una persona così da indurla a concedersi.
Non mi ha rifilato un drink, me l’ha offerto, e ha enunciato tutta l’importanza che ha il gesto di bere. Ogni sapore richiama un colore, che richiama un’immagine; e tutti questi elementi formano un’atmosfera.
“Un’aria.”, ha detto lui, e nel Manhattan io ho sentito viva la voglia che lui continuasse a parlare e gesticolare in quel modo.
Non abbiamo fatto uno scopata, mi ha condotto lungo una tortuosa e intraducibile via fatta di tartine, incensi 100% natural, discorsi sulla futilità del concetto di azione e di quanti corposi soldi vi vengano associati.
E mi sono trovato nel suo matrimoniale.
Ho pensato: Ehy, non è male. Non è neanche squallido.
E mi sono trovato nel suo bagno, riflesso nella specchiera decorata a soffio, con alle spalle un’ora di cui ho percepito un minuto.
Ho pensato: Questo rende Tournassat affascinante: non ti rendi conto di fare sesso con un quarantottenne designato come maledetto da tua madre morta.
E ho vomitato.

-Quindi va tutto bene, no?-
Il Sacro Cuore di Gesù Cristo è sotto al cuscino, esattamente dove l’ho dimenticato stamattina dopo averlo consultato.
Cuore, cuore delle mie brame, dimmi chi è…
-No…-
Che no lamentevole.
Che faccia sconfortata quella di Mat.
Non mi va mai bene nulla, lo so.
-Perché no?-
-Perché siamo solo all’inizio…-
Stiamo fumando delle sfuse lunghe e sottili sigarette di sua madre, che provocano uno strano nodo alla gola. Mi immagino che il filtro così sottile catapulti tutto il fumo in una piccola delimitata zona tumorale della gola, come un mirino.
Sto fumando di nascosto, quasi di nascosto, perché Moony si arrabbierebbe se mi vedesse con un cono fumante in mano, ma d’altro canto la puzza di tabacco l’ha già sentita nel mio alito e si è già lamentata.
E poi Mon dice che fumo proprio come una puttana…
-Sa, ma non sa niente…- e il mio tono lamentevole continua. –Sa a grandi linee che lavoro faccio, ma ho come l’impressione… Cazzo… Insomma, che non abbia bene in mente come si fa.-
Mi guarda stralunato.
-Non sto dicendo che mia sorella è deficiente… Dico che è come se non avesse collegato prostituzione a me…-
-Ma l’ha fatto.-
-L’ha fatto?-
-Altrimenti non ti sbatteva fuori di casa per una settimana, ti pare?-
-Ma appunto…-
Mi guardo quando fumo, e mi chiedo:
Come fuma una puttana? Esiste un modo da puttana di fare ogni cosa? Tesseramento annuale norme di comportamento due punti.
-Non mi ha visto per una settimana… e… Cazzo, non posso raccontarle come passo le giornate! “Ah, ieri sera dalla Dalloway, due orette, ha voluto da dietro”!-
-Ma una via di mezzo?-
Di ritorno da casa di Tournassat mi ha telefonato Serge, e mi ha chiesto di fare una tappa all’Istant.
Dopo avermi offerto un succo di pomodoro mi ha dato il mio contratto di lavoro.
Ehy, faccio il PR!
Documenti rilasciati da tre discoteche.
“La cosa si fa seria.”, ha detto.
E lui è un serio illegaluomo…
Non consiglierò mai quelle tre discoteche.
-Dalle il tempo. E datti il tempo. Anja e Monique le ho conosciute, e non mangiano nessuno. Se ti chiede com’è andata la giornata… Nottata… Ecco, le cominci a parlare di cose così… Ho visto questa… e questo…-
-E mi presenti questa…? E questo…?-
-Al momento fatica anche a vedere te.-
Stilettata nel costato.
Spegne innocentemente la sua sigaretta nel posacenere. La schiaccia, la storce, la schiaccia.
E la sigaretta mi dice:
-La droga sei tu!-
E Mat mi schiaccia.
-La verità è che neanche tu vuoi sentirti dire certe cose.- mi metto in difensiva.
-Certe cose…?-
Estrai stiletto e punta tenendolo per la lama.
-Martedì sera ho avuto come cliente un uomo sulla cinquantina. Siamo andati in periferia e io…-
Fa male stringere la lama.
-Io…-
-Tu…?-
-Vaffanculo.-
A me, non a Mat.

Nel cesso dell’Istant ho vomitato, vomitato, e poi vomitato.
Non so come ho fatto a non intasarlo.




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