Jo è un pervertito.
Il mio pensiero mentre Yvonne fa scivolare una bistecca, dalla padella al mio piatto.
Jo è masochista e sadico, e ama la sottile perversione.
Penso, e Moony dice che la Duchaufour è una donna così buona, così gentile a proporsi di pulire casa nostra quando noi siamo fuori.
Jo è un pervertito, e mi ha fatto divertire.
Yvonne copre d’olio la mia bistecca, circonferenze storte acquose che vogliono attaccarsi al mio esofago.
Jo è un pervertito, mi ha fatto divertire, ma in questo momento non me ne frega un cazzo, né dell’una né dell’altra cosa, e me ne rammarico.
Insomma, Moony, perché continui a guardarmi così?
Quando ti ho detto che avevo trovato un lavoro come scaricatore, e quello come animatore, mentivo.
-Non ti va la bistecca, Ed?- mi chiede Yvonne, indicando con la forchetta la suola di scarpa rosolata che ho nel piatto.
Silente conato di vomito.
Datemi un biglietto del tram, un volantino, un tovagliolo.
-Scusa, sono un po’ strano, non ho molta fame.-
Un biglietto da visita, un biglietto d’auguri, un biglietto del cinema.
-Quanti chili hai perso?- mi chiede Moony, e non mi guarda. Guarda un punto inutile e vuoto della tovaglia a quadri. Un vuoto tra doppie linee.
Sono un divoratore di quadratini di carta ad uso giornaliero.
-Da quando?-
Mentivo quando ti ho detto che dormivo da Mat, o rimanevo in una discoteca fino al mattino a controllare i conti, e anche quando ti ho detto che andavo all’ufficio di collocamento.
-Una volta pesavi settantacinque chili. Adesso?-
-Settantatre.-
Settanta.
Ti ho mentito per non farti del male, era un momento difficile ed ero confuso, non avevo il tempo di riflettere. Non avrei mai voluto mentirti, ma io stesso non riuscivo a capire la situazione, e avevamo bisogno di tanti soldi.
Moony, perché non mi sorridi? Perché non mi guardi affettuosamente dispiaciuta?
Mi guardi con sdegno e io cerco di arcuare le labbra verso l’alto, ma mi tremano, e tu insensibile ti volti mentre Yvonne mi squadra.
-In effetti sei un bel po’ smagrito. Attento a non diventare uno spaventapasseri come Mat.-
Non sai neanche cos’è, uno spaventapasseri.
Yvonne dai capelli scoloriti e dagli occhialini che porti per vezzo, dalle pose finto-ciniche, dalle “opere d’arte” moderne che nessuno osa criticarti e nessuno capisce.
Ma faccio spallucce, me colpevole, e tagliuzzo la bistecca.
Non faccio né lo scaricatore né l’animatore.
Moony, io mi prostituisco.
Adesso aspetta, fammi spiegare. Odio questo lavoro, lo odio, ma ci sta dando un sacco di soldi.

A volte mi chiedo cosa siano, questi soldi, per farti fare tutto questo, per costruire vite e distruggerle. Ti chiedi cosa accadrebbe se non si potessero più nominare.
Moony, perché non guardi me anziché Yvonne?
Non è bella, non è neanche simpatica, e soprattutto non è tuo fratello.
Mi fai sentire una puttana se mi tratti così.
Ci risolve un sacco di problemi.
Non potevo dirtelo, capisci? Dovevo sfruttare l’occasione, accettare il brutto periodo.
L’ho fatto per te.

-Oggi pomeriggio devo andare alla Gucci a guardare la nuova collezione. Volete venire?- chiede Yvonne, e mastica frettolosamente la carne inzuppata.
Datemi uno scontrino, una carta di caramelle, un foglietto d’istruzioni.
-Anche se, per come ti vesti, forse non ce n’è bisogno.- dice Yvonne, e sorride alla mia maglietta Dolce&Gabbana a righe nere su sfondo bianco. –Moony?-
-No. Non mi piace quella roba.-
La mia sorellina comincia a vestirsi come una barbona. Pur di non darmi la soddisfazione di prendere i vestiti pregiati che le indico si concia come una barbona, con vecchie magliette sfatte e cappellini consumati di Pierre, bracciali etnici artigianali che riempiono di fili il bucato, bigiotteria d’annata di Jeannette.
Pur di non mettersi una graziosa maglietta a maniche lunghe di sartoria, esattamente del verde-acqua che lei adora.
Ha persino messo le vecchie stringhe sfilacciate alle scarpe nuove.
So che adesso mi odierai. Che ti senti tradita, che sei incazzata, ma io ho fatto la scelta che mi sembrava migliore. Quella giusta.
Che altro potevo fare? Ho avuto paura.

-Fra un po’ ti vestirai come Mat.- dico io, e finalmente Moony si volta intensa verso di me, mi trapassa con lo sguardo, poi mi fa uno scanner completo.
-Meglio della roba da fighetti che indossi tu.-
-Mi serve per il lavoro.-
-Adesso non sei al lavoro.-
-Scusa se non mi faccio due armadi differenti, cazzo! E poi sono buoni vestiti. Questa maglietta mi piace anche.-
-Certo, è da fighetto. Piacerà a un sacco di ragazze.-
-Tanto meglio.-
Cala il silenzio.
So che avrei dovuto dirtelo. Che sono stato scorretto, e anche io al posto tuo mi sarei incazzato, ma prova a metterti nei miei panni.
La mia bistecca è un petto che qualcuno ha tagliuzzato sadicamente senza il coraggio di incidere.
Fredda e bagnata.
-Mi spiace, ma non ho fame.-
Mi alzo e appoggio il piatto nel lavandino.
-Vuoi qualcos’altro? Un po’ di roba c’è.- mi chiede Yvonne. Del tipo: so che hai qualche problema di cui non parli. Non posso far altro che essere gentile con te.
-Tanto è a dieta, può mangiare solo insalatina. Altrimenti non entra nelle magliette firmate.- dice la mia cara sorellina.
Ti voglio bene, Mon, e voglio che tu abbia tutto. Non devi avere preoccupazioni. Voglio che studi quel che ti piace, dove ti pare.
Voglio farti condurre una vita dignitosa.

-Ma tu che cazzo ne sai?- urlo alla mia cara sorellina. –Non sto facendo nessuna cazzo di dieta, e anche se fosse a te che ti frega? Perché mi devi rompere i coglioni con le tue stronzate sulle magliette snob?-
Ecco, la mia serafica posa che si volatilizza. Ecco me che dice cose per ferire e di cui si pentirà.
-Perché ti comporti come un figlio di papà!- mi urla la mia cara sorellina. –Con la puzza sotto al naso!-
Ma perché non vuoi capirmi? Lo faccio per te, solo per te. Non lo farei per nessun’altro al mondo.
-Ma vaffanculo!-
-Vaffanculo tu.-
Sbam! della porta alle mie spalle.


Jo è un pervertito, e lo sono anche io.
Ovviamente questi pensieri si focalizzano solo quando mi ritrovo in auto, guido nervosamente e rischio di stendere un pedone.
Odiose vecchiette al rallenty pronte a farsi investire.
Jo mi ha convinto a usarlo come merce usata, una botta e via, tu mi servi per svuotarmi i coglioni, ma non sei altro che la mia baldracca.
La seconda vecchietta mi sbraita contro alzando il sacchetto della spesa, e mi chiedo se sia cosciente delle parole che mi sta sciorinando addosso.
Jo si è fatto sbattere la testa sul cuscino strattonato per i capelli, mi ha obbligato a tenergli fermi i polsi o mi avrebbe colpito istericamente, mi ha fatto sbattere il pube sudato sulle sue natiche magre.
E io l’ho fatto con gusto.
E adesso, dove sto andando?
Ogni posto ha un che di tremendamente evitabile, e i luoghi che non conosco non li voglio conoscere.
Potrei uscire da Parigi e vedere quanto ci metto a raggiungere un luogo in cui non ci sia traccia di civiltà… Quanti minuti servono al turista per finire in mezzo al nulla? La civiltà ha cominciato a soffocare il cittadino quando gli ha tolto spazi vuoti in cui urlare.
Adesso, come se non bastasse la scarica di dati che mi tartassa il cervello, ho perfettamente in mente ciò che è successo con Jo: le immagini sono palloncini che salgono dalla mia memoria, mentre i perni che li fermavano mentre ero a casa di Yvonne sono stesi inutilizzati al suolo.
Ecco un palloncino particolarmente veloce, su cui si riflette un’illuminazione che Jo mi aveva passato sotto banco…
Posso essere ancor più sadico.
Togliermi dalle tue chiappe vogliose e stuzzicarti per ore, fartelo venire duro fino agli spasmi, farti contorcere e supplicare veramente, mentre soffro la stessa pena, mentre mi implori di prendertelo perlomeno in mano e io ti sibilo che no, no, no, passerà ancora un po’ di tempo, e dico no anche alla mia smania di venire.
Non voglio che tutto questo finisca.
Non voglio l’orgasmo liberatore, le membra che si distendono, i polmoni che prendono ossigeno.
La consapevolezza del dopo.
Le sigarette e i commenti.
Ricordarmi che anche tu ti sei infilato nel mio letto, aggiungendoti alla lista dei luoghi che visito e che poi devo salutare.
No, stai qui a soffrire con me. Il più a lungo possibile.
Così, magari, quanto sarebbe bello, l’orgasmo coinciderà con l’arrivo di Morfeo.
Morfina, morfina nelle mie vene.
Morfina per addormentare tutto il mondo, così posso dormire senza paranoie.


Mi sono svegliato abbracciato a Jo come se fossimo due fidanzatini innamorati.
Ho mosso le dita della mano sinistra per allontanare il torpore e Jo si è stretto a me mugugnando. Dormiamo ancora un po’.
La reazione sincera numero 1 prevedeva di alzarmi scostandolo da me, ignorare le sue lamentele, e uscire dalla camera senza voltarmi.
La reazione sincera numero 2 prevedeva di abbracciarlo teneramente e sprofondare nei cuscini facendomi accarezzare la testa.
Nell’indecisione, sono rimasto immobile perfettamente sveglio ascoltando tutti i suoi mugolii e fingendo di ignorarli.
Quando si è stancato del mio silenzio ha sbuffato e ha riprodotto gli usuali gesti di una persona che si sta svegliando.

La mia prima volta è stata quando avevo sedici anni e lei era una ragazza di un anno più grande di me, e a sedici anni un anno è un’incolmabile lasso di maturità.
Eravamo nella sua camera da letto e io pensavo:
“Chi l’ha pagata per fare l’amore con me?”
Me lo sono chiesto finché non l’ho sentita sopra di me, e allora ho capito.
Lei stava pagando se stessa per fare l’amore con me.
Lei si stava appagando.
Se l’orgoglio ha un arche io l’ho sfiorato quel giorno.
Non abbiamo avuto neanche il tempo di rimanere distesi uno accanto all’altra. Controllare l’orologio ogni cinque minuti attendendo l’arrivo dei suoi, rimandare all’ultimo secondo e rivestirsi in tutta fretta.
Tempo di tenerezze sussurrate nell’orecchio frettolosamente.

Ora, all’ora di domenica mattina, ma mi ritorna in mente perché non ho un luogo sconfinato in cui urlare, ho tutto il tempo che voglio per rimanere disteso nel letto con un pervertito che mi ha reso pervertito, e non so cosa darei per innamorarmi e non avere un luogo in cui fare sesso.
Tempo di condividere le brutture.
-Perché fai questo lavoro?- chiedo a Jo guardandogli il viso. Mi ricordo solo ora che è bello.
-Perché volevo levarmi di casa e mi sono rotto di vivere come un barbone. Ho incontrato Serge fuori da un kebab e gli ho chiesto un grammo, solo che non potevo pagarlo.-
Ride sottovoce.
-Quando mi ha fatto intendere che potevo pagarlo in natura ho pensato che ero un coglione perché non ci avevo mai pensato prima. E mi è venuta voglia di farmi sbattere da lui. E poi…-
Solleva una mano e apre le cinque dita contro il soffitto.
-Mi ha portato in un albergo di quelli a quattro stelle, in macchina con lui. Mi sono detto che era un gesto da coglione, salire in macchina con quello, che stavo facendo una cazzata, ma mi sentivo felice ed eccitato come un bambino.-
Ruota la mano a destra, a sinistra, a destra, a sinistra, e tutti i tendini si flettono, le vene bluastre si arricciano sotto al cellophane che ha come pelle.
-Prima di farselo prendere in bocca mi ha chiesto di dirgli un po’ della mia vita, e mi ha proposto di prostituirmi. “Aspetta.”, gli ho detto. “Adesso voglio fare sesso, ci penso dopo.”-
Gira il palmo verso il basso. Al centro ha una cicatrice chiara, una ragnatela irregolare.
Fa ricadere il braccio sul petto.
-Quando abbiamo finito con il sesso e io mi stavo sniffando la sua roba mi ha detto che dovevo assolutamente lavorare per lui, che era il lavoro della mia vita, che ero perfetto. Mi ha corteggiato a suo modo, insomma.-
Appoggia il mento appuntito sul mio petto e mi guarda.
-Ha funzionato. Mi ha convinto. E sono qui. E tu?-
Ho un magnifico peso sullo stomaco e vorrei che tornasse la notte per far rivivere l’incantesimo. Cenerentola che comincia a mezzanotte e finisce alle sei del mattino.
-Bisognoditantisoldisubito.-
Per favore accontentati della risposta.
Jo fa spallucce e butta l’occhio di lato – Per ora mi accontento.
-Mi avevano detto che eri il preferito e che dovevo passare sul tuo cadavere per avere l’esclusiva di Serge. Pensavo fossi diverso.-
-Diverso come?-
-Una persona da odiare.-
-Mi odi?-
-Neanche un po’.-


Il viaggio in macchina è finito a casa di Serge, che questa volta si chiama Le Walt Unesco.
L’ho aspettato nella hall viola e noce sfogliando Vogue e pensando che potrei fare il modello. L’ho pensato seriamente, e mi sono fatto due conti in tasca, concludendo che per guadagnare quanto guadagno adesso dovrei fare gavetta per qualche anno e avere fortuna. Molta fortuna.
Non voglio sapere perché ho chiamato Serge.
Perché ho preso il cellulare e ho schiacciato il tasto verde dopo aver selezionato “DaDa”.
-Dimmi.-
-Sei occupato? Sono in giro e non ho programmi.-
Qualche secondo di silenzio.
-Aspetta.-
Mi ha messo in attesa facendomi ascoltare i primi quindici secondi di Sweet Home Alabama.
E io ho pensato: Alabama? Con i coccodrilli?
-Mi libero fra un’ora. Fra un’ora nella hall del Walt.-
-Ok. A dopo.-
-A dopo.-
Di sottofondo c’erano lontane note di musica barocca, e io ho pensato: è dal Cardinale.
È vero, sono tra i preferiti di Serge.
Ci penso adesso con l’orecchio che ascolta i rumori del suo ventre, con l’occhio che guarda il culo del suo portatile.
Mi viene adesso in mente che nessuno chiama Serge quando ha qualche ora libera e non sa cosa fare. A nessuno passa per la mente la concezione che si possa chiamare Serge per qualcosa di diverso dalla venalità o dai problemi o dagli accordi.
Come nessuno sa dove Serge abita.
Come Serge apre la Suite in settimana solo per me, Mon, Priscille, e pochi altri eletti.
Come Serge non mi includa nei suoi: “Adesso andate fuori dal cazzo.”
Come adesso sono qui, inutile a livello pratico, in diritto di spendere il mio tempo sul suo addome rumoroso mentre lui lavora.
Come adesso mi sento in diritto di disturbare il suo lavoro con una domanda.
-Serge, tu conosci qualcosa di stregoneria? Sai come funzionano le fatture o quel genere di cose?-
Come adesso posso insinuare che lui se ne intende di stregoneria.
Come posso insinuare che lui se ne intende di stregoneria?
-Tipo?- mi chiede-risponde cessando il ticchettio dei tasti. La sua faccia non la vedo.
-Tipo un Cuore di Gesù Cristo d’oro vecchio, con sopra iniziali di nomi, una frase scritta lungo il bordo e del sangue. Tipo così.-
-Dipende. Qual è la frase?-
Ahia.
Uffa, direbbe Moony.
Ma gliel’ho chiesto io.
-Non so pronunciarla. Se mi apri un documento te la scrivo.-
-Ah-a…-
Schiocca la lingua e batte velocemente sui tasti.
Gira il portatile verso di me, e io ancora non vedo la sua faccia.
Scrivo.
Person Presenting Itself as Commodity Allotment in a Business Doctrine.
Sta diventando il sottotitolo della mia vita.
Come nella carta d’identità. Professione due punti.
Spingo il portatile verso di lui.
Schiocca la lingua.
-A me sembra una fattura contro qualcuno che consideri una puttana.-




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