ASHU
DREAMING ABOUT REALITY


Altra piccola perla che la piccola Ashu ha creato, a ispirazione di una scena che precedeva un breve racconto che stiamo scrivendo.
Me l'ha scritta davanti agli occhi, in diretta in MSN, e un tale elogio (beh, si, è un elogio) a un mio personaggio (Horton) mi ha riempito il cuore. Non per le lodi, ma per il semplice fatto che qualcuno vi ha speso parole oltre a me.
Grazie ancora, Ashu, mi commuovi.







È notte e Kevin è sdraiato nel suo letto. Strano che riesca a dormire. Le poche volte che lo fa, passa quasi un giorno tra le lenzuola, e non sogna quasi mai.
I suoi sogni, almeno quelli dei quali conserva, inutilmente, una memoria, sono popolati da elefanti fluorescenti, puttane gratuite e scopate da favola. I fiumi sono fatti di rhum o birra a seconda del momento, e i pollini di primavera - ma esiste la primavera a NY? - sono particelle di coca.
La sua testa gira come quando è ubriaco, ma non sono le pareti a girare e lui a rimanere fermo: girano all'unisono e tutto si compatta. Va a finire che il mondo nei sogni di Kevin è a tinte piatte come un quadro di Gauguin e tutto è un po' più storto.
Ma quella notte no. Quella notte a Kevin viene in mente un poliziotto stronzo che gli ha regalato - inconsapevolmente - quindici minuti di realtà dopo essersi bevuto la sua birra ed essersi preso la sua scorta di coca nascosta dentro al cesso.
Tre minuti di scopata e gli altri dodici di dolore ad ogni movimento. Quindici minuti di realismo per uno diviso tra due mondi. L'essere fatto e il dopo essersi fatti. La realtà non è contemplata. Una gita di un quarto di un quadrante dell'orologio. Si direbbe che è poco, invece per lui che giace tra le coperte è stato qualcosa di esaltante e straordinariamente lungo insieme.
Kevin sogna la faccia affilata di Horton e il suo cazzo che lo penetra. Vede la faccia dello sbirro mentre lo scopa, e la coscienza non interviene a dirgli che è impossibile, dato che era piegato a novanta - gomiti e ginocchia sul materasso fuori posto dopo la perquisizione.
Risente il dolore. Un sogno troppo realistico per uno che visita la realtà raramente. Sente il cazzo di Horton che affonda e riesce, risente ancora il dolore acuto, e sotto quello, nascosto sotto livelli di bruciore e altre sensazioni non esattamente gradevoli, il piacere.
Nascosto come il simulacro di un dio irrappresentabile, incomprensibile ai più, eppure esistente per lui come l'artista che scolpì la statua celata.
I suoi occhi analizzano la scena, la testa si stacca idealmente dal suo corpo per comprendere meglio il significato dell'amplesso. E lo trova vuoto. Senza amore e cazzate affini, senza fronzoli come paroline dolci o vezzeggiativi cretini.
Per Kevin quelle cose potevano andare a fare in culo. Proprio come lui e il cazzo gommato di Horton. Lo trovo effimero. Futile. Lo trova PERFETTO.
La testa torna al suo posto, i suoi occhi tornano tutt'uno con i suoi bulbi oculari. Ripensa - ma si pensa, in un sogno?- ai capelli biondi del poliziotto, alle sue palpebre chiuse e alle rughe intorno agli occhi serrati. Alle vene evidenziate sulle tempie, e sente un gemito - sincero, che bisogno c'è di abbellire e prendersi in giro da soli, cadendo nel ridicolo dei gesti palesemente falsi?- di Horton. Poi, dopo l'orgasmo del poliziotto viene anche lui.
E dopo quel sonno agitato, quelle coperte aggrovigliate, quei ricordi venuti a galla e sputati dalla sua testa imbottita di droga come l’orifizio di una puttana fottuta dai clienti, dopo aver cambiato innumerevoli volte posizione, Kevin si sveglia. Il sole tramonta ancora, lo vede sulle finestre ai piani più alti del palazzo accanto al suo.
Ma non ha tempo per calcolare quante ore abbia dormito, quante volte Horton se lo sia trombato alla cavallina. Non ha mai fatto calcoli in vita sua e ora non è esattamente quello definito il momento adatto.
Ha un'erezione spaventosa tra le gambe, tanto da fargli male - ecco serviva un altro po' di realtà gratuita - e l'unico modo per tornare alla sua dimensione è preparare la polvere sul comodino, arrotolare una banconota, espirare piano e tirare forte, secco. Respirare la vita come vuole conoscerla, mentre l'altra mano va su e giù, al ricordo del sogno e della fottuta realtà.